Sovranità, capitale sociale e umano e coesione: il re Mohammed VI indica la strada attraverso un nuovo modello di sviluppo e chiede al primo ministro, il ‘chiacchierato’ tycoon Aziz Akhannouch, da lui nominato, di prendere per mano il Marocco e portarlo lontano, oltre le sabbie mobili post-pandemia. Giovedì pomeriggio il nipote del grande sovrano Mohammed V (a lui è intitolato l’aeroporto di Casablanca) ha ufficialmente benedetto la nuova squadra di governo presentata dal premier democraticamente eletto alle elezioni del settembre scorso. Per farlo Akhannouch, ex ministro dell’agricoltura nel 2007, ci ha messo quasi un mese e alla fine ha partorito un organigramma che prevede 24 dicasteri, alcuni dei quali assolutamente nuovi, di cui 7 affidati a delle donne. Una nuova organizzazione del governo con quattro ministri con delega speciale: garantire la coesione del Paese. A coordinare il tutto, su ispirazione reale, sarà la Commissione speciale sul modello di sviluppo (Csmd) che punterà sugli obiettivi delle politiche pubbliche.

Il neo primo ministro, trionfatore alle presidenziali dell’8 settembre scorso con 97 seggi conquistati su 395, non dovrebbe dunque avere troppo margine di movimento. Elezioni a loro modo storiche vista la debacle assoluta del Pjd, il Partito islamista della giustizia e dello sviluppo (moderato, nulla a che vedere con la potenza della Fratellanza musulmana in Egitto e Turchia o di Ennadah in Tunisia), fermo a 12 seggi. Per raggiungere la maggioranza e formare il governo Akhannouch ha dovuto allearsi con altri due partiti, il Pam (Partito liberale per l’autenticità) e lo storico partito nazionalista Istiqlal che insieme avevano ottenuto 160 seggi.

La formazione del primo ministro, il Raggruppamento nazionale indipendente (Rni) è da sempre considerato molto vicino alle posizioni della casa reale. Il passato e il presente del ricco e noto imprenditore Akhannouch, considerato il Silvio Berlusconi marocchino, non hanno giocato contro la sua elezione. I marocchini hanno creduto in Mister 2 miliardi di dollari – a tanto ammonterebbe il suo impero secondo la rivista Forbes -, infischiandosene delle accuse di collusione tra affari e politica. Akhannouch, infatti, è a capo della tentacolare holding del Gruppo Akwa che spazia dagli idrocarburi al settore immobiliare.

Sposato e padre di tre figli, Akhannouch, ex portiere di una squadra di calcio amatoriale, ha basato la sua campagna elettorale sul tour ‘100 città in 100 giorni’, ma ha dovuto fare i conti con le accuse di compravendita di voti e di inondare la politica col suo denaro. Presunti profitti illegali delle sue aziende che avrebbero portato Akhannouch al centro di un caso chiamato ‘I 17 miliardi di dirham’ (1,7 miliardi di euro). In un recente convegno a Milano dei movimenti nazionalisti, Akhannouch ha detto che “è necessario rieducare i marocchini”. Una frase che ha suscitato vibranti polemiche, senza scalfire, tuttavia, la fiducia riposta in lui da Mohammed VI che quindi potrà contare su una reciproca affinità. Un re molto amato in patria, considerato un mecenate, un visionario e un uomo di grande spessore.

C’è rinnovato ottimismo, grande fiducia attorno al rilancio di un Paese messo in ginocchio dal Covid, con il turismo, prima voce economica, letteralmente azzerato negli ultimi 20 mesi. La società civile sembra compatta attorno alle istituzioni, ma il Marocco presenta anche delle lacune spaventose. A partire dal recente voto: “Più che la sconfitta degli islamisti vorrei sottolineare come le elezioni siano state palesemente truccate. Personalmente ho assistito ad autentiche pagliacciate ai seggi, mi hanno ricordato la vergogna degli anni di piombo in Marocco. La compravendita di voti è cosa nota qui ed è resa possibile dal potere economico. Akhannouch fa parte della vecchia politica abituata a correre per i posti al governo”. Montassir Sakhi è un apprezzato ricercatore dell’università di Parigi, esperto di islamismo e di terrorismo: “Akhannouch – aggiunge Sakhi – è il simbolo dell’accentramento del potere dei ceti ricchi del Paese, la difesa degli interessi privati contro quelli dei lavoratori e del pubblico, a livello economico e culturale. Non so se il monarca sia contento di Akhannouch, ma sono certo che soffrirà e si pentirà della scelta di affidare a lui il governo. La frattura sociale è insanabile, mentre la repressione delle libertà resta forte. Molti militanti dei movimenti sociali sono in prigione, così come diversi giornalisti”.

C’è un italiano, un poeta e scrittore, che conosce il Marocco forse meglio della gran parte dei marocchini. Franco Caminiti ha ben chiara anche la figura controversa del premier: “Akhannouch è ricco, molto ricco, forse anche più del re e di Berlusconi a cui, è vero, somiglia sotto molti punti di vista, ma sono convinto che da lui ci si possa aspettare qualcosa di buono. La sua fortuna è quella di essere grande amico del monarca. Akhannouch è un imprenditore a 360 gradi, spazia dal latte al petrolio, passando per l’acqua, gli immobili, l’energia, ha mani dappertutto e ciò gli ha consentito di diventare il più grande imprenditore africano. Ripeto, per uscire dalla crisi potrebbe essere lui la figura giusta, accompagnata certo da Mohamed VI”. Ci sono però delle differenze tra Akhannouch e Berlusconi: “In Marocco se vai in tv non puoi fare lo showman, non può succedere che un politico pulisca la sedia dove si è seduto un rivale. I talk show sono rari e sono una cosa seria, non ci vai per prendere voti. Da quelle parti non si diventa ministro o si ricopre una carica istituzionale per caso, lì devi essere preparato, devi aver studiato. Nell’immaginario collettivo il Marocco è Africa, dunque sinonimo di confusione e sporcizia, ma non è così. Lì sono maniacali nell’ordine, Rabat è una capitale pulita, bellissima, tenuta bene, Casablanca è una megalopoli molto più in ordine di Milano, dove vivo”.

Come per ogni Paese che si rispetti ci sono i pro e i contro, visioni contrastanti. Se Caminiti esalta il Paese maghrebino, Khadjia Riadhi, presidentessa di Amdh e storica leader per la difesa dei diritti umani la pensa diversamente: “Se cambiamento ci sarà ci dobbiamo aspettare il peggio con Akhannouch – sostiene Riadhi – Con lui si tornerà a difendere gli interessi del ceto benestante. Lui ha le spalle coperte. I marocchini non vogliono diventare ricchi, ma vivere in pace, senza ingiustizie o col rischio di finire in carcere per le opinioni espresse. Vogliono una stampa libera e il rispetto dei diritti civili e umani. Va tutto bene? E allora la fuga verso Ceuta e Melilla (le due enclave spagnole nella costa mediterranea del Marocco, ndr) di un’intera generazione di giovanissimi come se la spiega?”. Khadjia Riadhi è arrabbiata, preoccupata e se la prende con quella che considera la vera piaga, non solo marocchina: “Tutto si fa su ordine della Francia, la padrona delle nostre vite. Non le so dire se la monarchia cadrà, di sicuro non capiterà presto fin quando ci sono quelli che la sostengono. La Primavera araba in Marocco non ci sarà, gli attivisti sono scappati o sono in prigione. Il re ha messo la sordina al dissenso”.

L’esempio è Monjiib Maati, stimato intellettuale e storico, arrestato nel 2020 e condannato nel gennaio scorso. Attualmente in detenzione preventiva, è uscito di prigione a marzo di quest’anno: “La mia libertà è di nuovo a rischio – racconta Maati a Ilfattoquotidiano.it – Sono stato accusato di minare la sicurezza nazionale, un’accusa assurda. Chiedo a tutti di aiutarmi per diffondere notizie e informazioni fuori e dentro il mio Paese, far sapere a tutti della persecuzione contro di me e la mia famiglia in corso da oltre sei anni”. Il 30 settembre scorso il caso di appello contro Mojib è stato aggiornato al prossimo 2 dicembre.

Si faceva cenno alla prima fonte economica del Marocco, il turismo. La prova di un settore in frantumi è Mathieu Briere, un imprenditore italo-francese, residente a Marrakech dal 2015 e proprietario di un Riad, abitazione tipica e modalità di offerta turistica: “La pandemia ha massacrato il settore – dice – Sono fermo dal 2020 e solo adesso sto ricevendo qualche richiesta di prenotazione. Il Marocco per fortuna è un Paese vicino ai canoni occidentali e i dipendenti sono stai coperti con indennizzi. Non siamo nel terzo mondo, i vaccini cinesi Sinovac sono arrivati, io sono immunizzato da sei mesi e la pandemia è stata gestita alla grande. Ora è il momento di ripartire”. E il nuovo governo sembra poter essere il propellente ideale: “Akhannouch dà euforia e la speranza di un cambiamento, soprattutto ai giovani che lo hanno votato, per dire basta coi precetti fuori tempo e le falsità. Il re è la figura più liberale del Marocco, uno più aperto di tanti sui diritti civili e Akhannouch è della stessa pasta e viene percepito come una persona di successo. Insomma, uno che ce l’ha fatta e dunque è in grado di poter gestire l’azienda Marocco in una fase così delicata”.

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