Se ne parla da quasi due anni, ma ancora solo 117 Comuni su 1.162 al voto si sono adeguati e hanno deciso di spostare i seggi elettorali dalle scuole. Neppure gli incentivi economici sono serviti a sbloccare la situazione: a neanche tre settimane dall’inizio delle scuole, nell’anno delicatissimo in cui si tenta il ritorno in presenza, le lezioni saranno nuovamente sospese per le procedure di voto. Sono infatti 8mila i sindaci che hanno scelto di non adeguarsi e che, pur essendo stati invitata a trovare un’alternativa, hanno deciso di non provare nemmeno a salvare le ore in classe.

Le norme – La prima a proporre di spostare i seggi elettorali era stata più di un anno fa l’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina: si votava per il referendum per il taglio dei parlamentari e, dopo un anno di pandemia tra dad e quarantene l’obiettivo era quello di non bloccare di nuovo il mondo della scuola. Non è un’operazione facile e porta con sé anche costi, per questo, a maggio scorso, è stato approvato un emendamento al Decreto Sostegni presentato dai deputati M5s Giuseppe Brescia e Vittoria Casa, che ha stanziato 2 milioni di euro per i Comuni che si fossero attivati per tempo e avessero provato, attraverso i prefetti, a individuare soluzioni alternative alle aule per svolgere le elezioni. Ma neanche i fondi hanno permesso di fare lo scatto. E alla fine solo 510 seggi elettorali troveranno una nuova collocazione lasciando in classe poco più di trenta mila studenti. Un primo passo verso una storica rivoluzione ma nessuno è contento di questo scarso risultato.

“Assurdo sospendere la scuola”. Di nuovo – La prima a manifestare una profonda delusione è Adriana Bizzarri, coordinatrice della sezione scuola di “Cittadinanzattiva”: “Votare nelle scuole è una tradizione quasi solo italiana, probabilmente è una tradizione comoda, ma certamente non è inevitabile. La scuola è un servizio pubblico ed è assurdo doverlo sospendere andando a ledere il diritto allo studio di milioni di studenti quando è possibile trovare sedi alternative e ancor di più in questa situazione di pandemia in cui ogni giorno di scuola recuperato rappresenta un tassello importante per i nostri studenti. E’ una battaglia di civiltà”. Bizzarri nota la contraddizione che emerge tra coloro che hanno espresso la volontà di tornare in aula in presenza per poi chiudere le scuole dopo tre settimane di lezione e rilancia: “L’Associazione nazionale comuni italiani deve far sua questa proposta; dovrebbe chiedere ai sindaci di fare subito una ricognizione degli spazi che si possono usare. Dobbiamo essere pronti per le politiche del 2023”. La coordinatrice di “Cittadinanzattiva” non nasconde che la domanda per ottenere i fondi previsti dal Decreto Sostegni, è arrivata tardi e andava fatta entro luglio ma resta amareggiata per l’indifferenza di molti primi cittadini.

I Comuni virtuosi: Bergamo, Biella e Pordenone – Come reso noto dal Ministero dell’Interno, sul territorio nazionale l’88% dei 61.562 seggi elettorali si trova all’interno di edifici scolastici. Il tema dello spostamento dei seggi elettorali in altre sedi diverse dagli istituti scolastici è stato sollevato anche lo scorso anno in occasione del referendum Costituzionale ma l’esito dello sforzo dei Comuni è stato deludente: solo 471 su circa 8.000 sono stati quelli che hanno previsto lo spostamento di 1.464 sezioni elettorali, poco più del due per cento del totale. Fra quei 471 Comuni c’erano anche tre capoluoghi di provincia: Bergamo, Biella e Pordenone. Bergamo aveva “spostato” metà degli elettori nel municipio e in centri giovanili, musei, centri per la terza età, mentre a Pordenone tutti i seggi elettorali per il referendum erano stati dislocati nei padiglioni della Fiera. “Va dato atto – spiega Adriana Bizzarri – alla Ministra Lamorgese dell’impegno di voler contribuire a superare le difficoltà in merito allo spostamento dei seggi elettorali dalle scuole con la creazione di un Tavolo di lavoro già ad ottobre 2020. Con il decreto Sostegni è stato costituito un fondo da due milioni di euro per favorire questo processo con un contributo economico ai Comuni che avessero deciso di trovare nuovi spazi ad uso elettorale ma il tutto è servito a ben poco”.

Tra i 117 che hanno aderito alla proposta ci sono per la maggior parte enti di piccole dimensioni come Alzano Lombardo, Villa di Tirano o Livigno in Lombardia; Eboli e Praiano in Campania; Zocca e Sogliano al Rubicone in Emilia o Oderzo e Vigonovo in Veneto. Tra i municipi di medie dimensioni vanno citati Novara, Pordenone, Latina, Siena, Spoleto. Nella lista del Viminale spuntano anche Roma, Bologna e Torino ma si tratta solo di alcune municipalità. La Regione con più comuni disposti a darsi da fare su questo fronte è la Calabria con 24 enti mentre in Liguria e in Puglia si registrano una sola adesione: Borgio Verezzi e Casalnuovo Monterotaro. Nessun sindaco della Valle D’Aosta, del Trentino Alto Adige, dell’Abruzzo, della Sicilia e della Sardegna, ha scelto di cambiare sede ai seggi.

Genitori e presidi: “Ai sindaci non interessa risolvere il problema” – Dati che fanno infuriare i genitori. Angela Nava, coordinatrice nazionale di “Genitori Democratici” non nasconde l’amarezza: “E’ una grande delusione. In una retorica generalizzata del “riprendiamo in presenza” sarebbe stato importante dimostrare che la scuola è davvero in cima ai pensieri della politica. Ci voleva tanto? Mi rendo conto che il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi è ingabbiato ma non può dire sempre che va tutto bene. Facciamo un gran parlare di patti territoriali ma su questa partita non c’è stato uno scatto da parte degli enti locali”. Delusione condivisa anche da parte del direttore del Movimento italiano genitori, Antonio Affinita: “Un plauso ai pochi comuni virtuosi ma non basta. Da anni insistiamo affinché si possano trovare soluzioni alternative alle scuole. In un momento così drammatico per l’istruzione, sottomessa ad un caos organizzativo, ridurre il tempo scuola per espletare l’esercizio del voto è assurdo”.

I requisiti necessari per adibire uno spazio a “sala delle elezioni” sono: avere una porta d’ingresso aperta al pubblico per ogni seggio, da poter chiudere a chiave e sigillare; poter dividere la sala in due compartimenti, uno in comunicazione diretta con la porta d’ingresso e riservato agli elettori più un secondo in cui si entra solo per votare, trattenendovisi esclusivamente per il tempo necessario; porte e finestre nella parete adiacente alla cabina a distanza minore di due metri, che devono essere chiuse in modo da impedire la vista ed ogni comunicazione dall’esterno; spazio per quattro cabine di voto di cui una destinata ai portatori di handicap; cabine da collocare in maniera da rimanere isolate e munite di ripari che assicurino la segretezza del voto.

Il Viminale ha proposto persino un lungo elenco di esempi di fabbricati che potrebbero ospitare sezioni elettorali: uffici comunali e sale consiliari; biblioteche e sale di lettura; palestre ed altri impianti sportivi, comprese palestre scolastiche qualora abbiano un ingresso separato e la loro utilizzazione non impedisca l’attività didattica; centri e impianti polifunzionali; circoli ricreativi e sportivi; locali dopolavoristici; spazi espositivi e fieristici; ludoteche; ambulatori ed altre strutture non più ad uso sanitario; spazi non più adibiti a mercati coperti.

Un lavoro che è servito a poco e che stupisce anche i presidi da sempre coinvolti nelle operazioni elettorali: “Ho l’impressione che ai sindaci non interessi risolvere questo problema. Tutti – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi – dicono a parole che la scuola è importante ma nei fatti non lo dimostrano. Lancio un appello ai primi cittadini: mettano la questione dello spostamento dei seggi in lista alle priorità. Abbiamo oltre un anno prima delle politiche, non possiamo arrivare tardi. Noi non daremo alcuna tregua su questa questione”.

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