di Giuliano Checchi

Gentile Signora Palombelli, voglio sforzarmi di leggere la sua frase nel modo più oggettivo e imparziale possibile. E Le dirò: sì, è possibile in linea generale, s’intende, che ci sia stato “un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte”. E personalmente posso dire di esserne stato talvolta testimone, anche se mai in casi che sono culminati con l’assassinio (o il femminicidio, o che dir si voglia). Certo è altrettanto oggettivo, che ciò non può valere come scusante per nessuno.

Non so cosa l’abbia portata a sollevare un’ipotesi che era senz’altro fuori luogo, stante i numerosi fatti di cronaca delle ultime settimane.
Ma perché era fuori luogo? Ho l’impressione che nemmeno quelli che si sono strappati i capelli dall’indignazione l’abbiano capito. È fuori luogo perché il problema di fronte al quale ci troviamo non è la distribuzione della colpa nella fine dei rapporti bensì l’esigenza di dare adeguata ed efficace assistenza a tutte quelle donne che ne hanno vitale necessità. In termini brutali, evitargli di essere vittime dell’aggressività.

È questo, il nocciolo della questione. Non la distribuzione di “aggressività” nella coppia.

A tutte quelle donne, e non solo, che sono rimaste fortemente indignate dalla sua uscita, vorrei però consigliare di non ingigantire la polemica e di non farne chissà quale caso. Perché si rischia solo di creare sterili contrapposizioni che non servono a nessuno, e a perdere di vista l’obiettivo.

Piuttosto, fate alla Palombelli una domanda semplice e diretta: “Signora Palombelli, ma Lei, tutte quelle donne che rischiano di essere uccise da chi dice: ‘O mia o di nessuno’, le vuole aiutare o no?”.

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