Il piccolo Eitan è stato portato in Israele con un aereo privato. Ieri la Procura di Pavia ha aperto un’inchiesta per sequestro di persona a carico del nonno materno, Shmuel Peleg, che lo ha sottratto alla sorella del padre, Aya Biran Nirko, sua tutrice legale. L’uomo sarebbe stato in possesso del passaporto del bambino, che quindi sarebbe potuto espatriare legalmente. “Non abbiamo rapito Eitan e non useremo quella parola, l’abbiamo portato a casa” si difende Gali Peleg, zia materna dell’unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone. La donna dichiara di non aver avuto da mesi notizie sulla sua salute e la sua condizione mentale. Il bambino viveva infatti in Italia, nel Pavese, con la sorella del padre, alla quale il giudice aveva affidato la tutela legale. In un’intervista alla radio israeliana 103 la donna ha spiegato che il ritorno di Eitan nel Paese “era ciò che i suoi genitori volevano e desideravano”. “E’ stata una doccia fredda, avevo sconsigliato di fare questa guerra sulla pelle del minore”, ha spiegato invece l’avvocato Franz Sarno, che assiste Peleg, ma solo sul fronte dei risarcimenti.

Le indagini – L’uomo ora rischia pure l’accusa di “sottrazione internazionale di minori“, oltre che l’emissione di un mandato di cattura, mentre nelle indagini della polizia, coordinate dall’aggiunto Mario Venditti e dal pm Roberto Valli, si indaga anche su coloro che avrebbero aiutato il nonno a mettere in atto il rapimento. Intanto, la zia paterna fa notare che Peleg “è stato condannato in Israele per maltrattamenti nei confronti della sua ex moglie”, nonna materna di Eitan, “in tre gradi di giudizio”. E’ in atto, dunque, con sullo sfondo anche interessi economici, una partita delicatissima proprio con al centro un bimbo che, dopo ciò che gli è accaduto, avrebbe diritto solo a una vita “il più possibile normale”, parole della zia Aya. Partita che passa per i contatti tra l’autorità giudiziaria pavese e quella israeliana, per i canali della Farnesina, ma anche per diverse battaglie giudiziarie in Italia e nel Paese mediorientale. Con la prospettiva, però, che il rientro in Italia di Eitan possa essere molto complicato. “Seguiremo l’indagine e cercheremo di collaborare come meglio possibile, per fare in modo che il bimbo torni nel più breve tempo in Italia, siamo molto preoccupati per la sua salute, anche psicologica, è un fatto estremamente grave”, ha spiegato l’avvocato Armando Simbari, legale che assiste la zia paterna.

C’era divieto di espatrio per il piccolo senza tutrice – La donna era stata nominata tutrice legale di Eitan dal tribunale di Pavia, che aveva stabilito anche, con un provvedimento dell’11 agosto scorso, che il piccolo non poteva “espatriare” se non “accompagnato dalla tutrice” o con l’autorizzazione della stessa. Un divieto di espatrio che valeva sia nel caso fosse stato presentato per lui un passaporto italiano che per quello israeliano. E questo “ordine” del giudice, “violato” dalla famiglia materna del bambino, come ha chiarito l’avvocato Cristina Pagni, che assiste sul fronte civile Aya Biran, su decisione dello stesso Tribunale era stato inoltrato “alla Questura e alla Prefettura di Pavia” per “essere inserito – come si legge nel provvedimento – nelle banche dati delle forze dell’ordine preposte ai controlli in uscita dal territorio” italiano. Un ordine che, come fa notare il legale, non è servito perché è stato violato dal nonno, assieme forse ad altre persone. Si è trattato, dunque, di un “trasferimento illecito“.

La zia materna: “non è un rapimento” – “Me lo sentivo che avrebbero fatto qualcosa di sporco per aggirare la legge italiana” ha dichiarato in un’intervista al Corriere, Or Nirko, lo zio paterno di Eitan Biran. “Purtroppo i Peleg – spiega – avevano in custodia il passaporto israeliano del bambino. La restituzione sarebbe stata stabilita dal giudice tutelare per il 30 agosto. Ma i nonni materni – trasferitisi in Italia dopo la morte dei genitori, secondo il Jerusalem Post – non lo avrebbero rispettato. Poi ” visto che non è stato revocato il diritto di visita – come avevamo chiesto – è andata come è andata”. I Peleg avevano avuto – secondo il racconto di Or Nirko – una posizione da subito antagonistica: “Dicevano che con noi sarebbe cresciuto senza legami con la sua identità. Ma meglio vivere con una famiglia come quella? In Israele il nonno ha avuto una condanna per abusi domestici“. Gali Peleg non ha precisato si trovi adesso il piccolo. “Al termine delle nostre visite piangeva – prosegue la donna – chiedeva se aveva fatto qualcosa di male”. Tutti i tentativi di raggiungere un’intesa con Aya e suo marito – dice – non sarebbero serviti a nulla. Sulle conseguenze legali del gesto – rispetto alla Convenzione dell’Aja – Peleg dice di non conoscerne i dettagli, “Lasciamo che siano gli avvocati a parlare. Noi pensiamo solo al benessere del bambino. Cosa avremmo potuto mai dirgli se, da grande, ci avesse rinfacciato di non averlo riportato in Israele, o almeno di aver tentato?”. In realtà il loro legale, Franz Sarno, aveva più volte sconsigliato il gesto. Ora la vicenda è sotto indagine anche da parte del ministero degli Esteri israeliano, che ha annunciato verifiche. Intanto la famiglia residente in Italia sta procedendo per vie legali.

Doveva tornare a scuola – Eitan avrebbe dovuto iniziare domani la scuola: “Da una settimana era tornato nel nostro istituto – ha spiegato Madre Paola Canziani, superiora del Canossiane di Pavia, dove il piccolo frequentava l’asilo – Era contento di essere rientrato tra noi, in mezzo agli altri bambini. Si muove ancora con il suo girello, per i problemi provocatigli dall’incidente. Ma era sorridente”. La suora ha sottolineato poi il legame con la zia Aya: “Le è davvero molto attaccato, per lui è un punto di riferimento fondamentale”. Grande rammarico per la situazione del piccolo anche da parte della sindaca di Stresa, Marcella Severino: “Eitan è arrivato in Italia che aveva appena un mese ed è cresciuto qui. Dopo il trauma subito stava lentamente ritrovando un po’ di equilibrio. Mi lascia l’amaro in bocca sapere che è stato sradicato dai suoi punti fissi”. Secondo la prima cittadina del comune sul Lago Maggiore, la zia Aya nutriva già da un po’ delle preoccupazioni sugli atteggiamenti della famiglia materna. “La volontà del papà era farsi una vita in Italia – ha raccontato anche il presidente della comunità ebraica milanese Milo Hasbani – ma i genitori della moglie hanno sempre detto che doveva crescere in Israele”. Nonostante lo sgomento e la condanna, l’autorità religiosa offre il suo sostegno ad entrambe le parti, con “l’augurio he la vicenda si risolva nel più breve tempo possibile nella direzione dell’ottemperanza della decisione del Tribunale dei minori”.

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