Con il ritiro delle forze armate statunitensi dall’Afghanistan, l’attenzione si è spostata su quello che il Segretario di Stato Usa Antony Blinken ha definito il prossimo capitolo dell’impegno americano con il Paese gestito dai talebani. Ma il contatto con i nuovi governanti dell’Afghanistan sarà complicato dal fatto che i diplomatici statunitensi non sono più in Afghanistan. Le operazioni dell’ambasciata sono state trasferite nella capitale del Qatar, a Doha. Non è chiaro come i diplomatici americani con sede in Qatar supervisioneranno la consegna degli aiuti umanitari in Afghanistan e faciliteranno la pericolosa partenza dei restanti cittadini statunitensi. Ma non è la prima volta che Washington evacua personale diplomatico da un Paese ospitante in tempi di instabilità politica. Dopo che gli Houthi hanno invaso gran parte dello Yemen nel 2015, gli Stati Uniti hanno sospeso le operazioni della ambasciata a Sanaa e hanno istituito una missione remota nella vicina Arabia Saudita. Allo stesso modo, gli Usa hanno trasferito personale diplomatico da altri “teatri caldi”, dal Venezuela alla Colombia, dalla Somalia al Kenya, dalla Libia a Malta. Il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto ai giornalisti che l’ufficio di Doha “svolgerà funzioni abbastanza simili a quelle che stava facendo la nostra operazione ora sospesa a Kabul”. Ma anche nell’era della “diplomazia Zoom”, monitorare gli eventi sul campo e mantenere le relazioni a distanza ha certamente i suoi limiti.

La chiave per il futuro dell’impegno degli Stati Uniti con i talebani sarà il Qatar, che dal 2013 ha ospitato un ufficio politico dei talebani a Doha. La capitale del Qatar è stata anche la sede dei colloqui di pace sostenuti dagli Stati Uniti tra il governo afghano e il gruppo militante. Sede della più grande base aerea americana in Medio Oriente, il Qatar ha aiutato le forze armate statunitensi a ospitare temporaneamente decine di migliaia di sfollati che sono stati trasportati in aereo dall’Afghanistan dopo “l’improvvisa” vittoria dei talebani il mese scorso. Insieme alla Turchia, il Qatar sta gestendo il ripristino dei primi voli passeggeri all’aeroporto internazionale di Kabul. Al momento sono le forze speciali dal Qatar a controllare la sicurezza all’interno dell’aerostazione in un’atmosfera molto diversa dal caos di luglio.

“Il Qatar ha mostrato la sua volontà di impegnarsi nel raggiungere l’attuale leadership talebana, mentre gli Stati Uniti hanno necessità di trovare Paesi che possano influenzare il comportamento dei talebani in futuro, e chiaramente Doha è un partner importante”, sostiene Michael McKinley, ambasciatore Usa in Afghanistan dal 2014 al 2016. Secondo lui “è possibile portare avanti la diplomazia a lunga distanza” e continuerà ad essere così mentre gli Stati Uniti cercano di valutare se i talebani sono pronti a soddisfare le condizioni che la comunità internazionale nel suo insieme sta imponendo. L’Amministrazione Biden afferma che il riconoscimento dei talebani come governo legittimo dell’Afghanistan dipende dalla capacità del gruppo islamista di mantenere i propri impegni, compreso il rispetto dei diritti fondamentali delle donne, l’accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari e l’assicurazione di un passaggio sicuro per americani e afgani con validi documenti di viaggio. Condizioni difficili da esaudire vista la composizione del governo ad interim varato l’altro giorno.

Blinken ha evitato di incontrare esponenti talebani mentre era a Doha questa settimana e i funzionari statunitensi sono stati attenti a non dare legittimità al gruppo. Mercoledì scorso nelle sue dichiarazioni alla base aerea di Ramstein nel sud-ovest della Germania, il capo della diplomazia statunitense ha fatto la distinzione tra impegno con i talebani e riconoscimento diplomatico. “Legittimità e sostegno devono essere guadagnati con le loro azioni. E a nostro giudizio, non può essere guadagnato rapidamente”, ha detto Blinken. Nel frattempo, la squadra statunitense a Doha deve individuare un interlocutore affidabile che possa fungere da tramite con i talebani – stando all’opinione di Robert Ford, ultimo ambasciatore Usa a Damasco – come avviene adesso in Siria. Ma è certamente un meccanismo davvero molto farraginoso. I rapporti fra Siria e Usa sono cessati con la chiusura dell’ambasciata degli Stati Uniti nel 2012. Come soluzione alternativa, la Repubblica Ceca ha accettato di fungere da “potenza protettrice” degli Stati Uniti in Siria, una sorta di messaggero diplomatico tra i due Paesi. Se c’è qualcosa il governo siriano la trasmette ai cechi, che la riportano a Praga e dalla capitale céca la inoltrano al Dipartimento di Stato a Washington. Un sistema che non appare né veloce né tantomeno discreto. Gli Stati Uniti hanno accordi simili con la Svizzera in Venezuela e Iran e con la Svezia in Corea del Nord. Il Dipartimento di Stato non ha ancora detto se il Qatar – o un altro Paese “reciprocamente amichevole” – sarà il “paese protettore” degli interessi degli Stati Uniti in Afghanistan. Ma accadrà presto, perché al momento non ci sono alternative migliori all’orizzonte.

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