Si moltiplicano le grida di allarme delle industrie italiane ed europee per i diffusi rincari delle materie prime. L’alluminio si compra al prezzo più alto degli ultimi 10 anni, sopra le 2.700 dollari a tonnellata, il 50% in più di un anno fa. Le preoccupazioni riguardano oggi l’acciaio, dopo che Turchia e Taiwan (rispettivamente nono e decimo produttori al mondo), hanno raggiunto le quote all’import fissate dall’Ue in largo anticipo rispetto alla scadenza trimestrale di fine settembre. Vicina al limite anche la quota della Corea del Sud, sesto produttore al mondo. “Il mese di settembre si apre sotto il segno di una grande tensione – spiega un imprenditore siderurgico – il prezzo della tipologia 304 che viene considerato il riferimento per il mercato dell’inox quota appena sotto i 4mila euro la tonnellata. Il problema ancora più grave – aggiunge – è che, se si calcolano le migliaia di tonnellate in arrivo, sarà molto probabile che al primo ottobre, giorno dell’apertura dei termini, le quote trimestrali verranno immediatamente raggiunte, costringendo l’intera filiera a pagare il dazio del 25%”.

“Il mese di settembre di fatto si apre con zero importazioni se pensiamo anche al massimo tra 8 giorni anche le quote dalla Sud Corea saranno esaurite – spiega un altro operatore del settore – i clienti oramai pur di avere il materiale in casa sono disposti a pagare i dazi. Temo che assisteremo a ulteriori forti rincari di prezzo nelle prossime settimane. Occorre fare di tutto per far sì che il prossimo anno il sistema delle quote non venga esteso. Le aziende sono con l’acqua alla gola”. Altri direttori acquisti tuttavia non sembrano disposti ad accettare nuovi rincari: “il prezzo dell’inox veleggia oramai su livelli che non siamo in grado di sostenere – spiega il responsabile acquisti di una multinazionale – penso che saranno molte le aziende costrette a chiudere la produzione e mettere i dipendenti in cassa integrazione, nonostante il materiale giaccia ora fermo in porto”. Chi di sicuro non chiude sono le acciaierie che anzi fanno affari d’oro. Il più grande gruppo del settore, l’indio-francese ArcelorMittal ha visto i suoi ricavi aumentare del 78% nell’ultimo anno e il suo valore di borsa triplicare. In questa fase di “bonanza” gli stabilimenti dell’ex Ilva di Taranto continuano a operare su ritmi ridotti al minimo.

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