Nel 2020, anno del Covid, in Italia le famiglie povere sono aumentate del 20%, ma i multimilionari sono aumentati di più: 28%. I dati sono dell’Istat, e da qui parte la copertina di FQ MillenniuM, diretto da Peter Gomez, nel nuovo numero in edicola da sabato 7 agosto. Il mensile racconta innanzitutto la “riccanza”,la ricchezza esibita e cafona che mette in mostra il lusso pacchiano, lo shopping ultragriffato, le vacanze esclusive, le supercar in garage. Sui social impazzano così i “rich kids”, fenomeno globale che spinge i rampolli delle famiglie bene, dall’Italia alla Cina passando per il Medio Oriente, a mostrare ossessivamente online un’immeritata abbondanza nei consumi e nello stile di vita. Una bolla dorata, parallela a quella in cui sembrano vivere molti politici italiani: basta vedere il dibattito sul reddito di cittadinanza, in cui i poveri diventano gente che punta a “una vita in vacanza” (copyright Maria Elena Boschi, famiglia benestante e sontuoso stipendio da parlamentare), che approfitta del sussidio per spaparanzarsi sul “divano” o per riempire il carrello di gadget tecnologici “all’Unieuro”.

“Il ceto politico ha perso contatto con la realtà, anche a sinistra”, dice Enrica Morlicchio, docente dell’Università di Napoli e autrice per Il Mulino del saggio Sociologia della povertà, a cui FQ MillenniuM ha chiesto di commentare diverse dichiarazioni sul tema del reddito di cittadinanza. “Mi domando dove vivono queste persone, spesso sono cresciute nelle loro bolle familiari e sociali e non guardano quello che c’è fuori”. La professoressa Morlicchio ricorda per esempio che spesso i percettori del reddito di cittadinanza già lavorano, ma sono working poor, cioè persone sottopagate e precarie che non ce la fanno comunque a mantenere una famiglia. Oppure sono donne che hanno sulle spalle la cura dei figli, di familiari malati, aiutate poco o niente dai servizi pubblici. O sessantenni licenziati che difficilmente troveranno nuove opportunità di formazione e di impiego. E ci ricorda anche che i poveri in Italia non sono persone a cui mancano il cibo o i vestiti, ma vivono sotto uno standard considerato minimo in un Paese a economia avanzata. Per esempio “chi non può permettersi una settimana di vacanza l’anno, la gita scolastica per i figli, o elettrodomestici base come la lavatrice o la lavastoviglie, o chi non può far fronte a una spesa improvvisa di qualche centinaio di euro, per esempio per far riparare l’auto”.

Mentre le conseguenze della pandemia colpiscono duramente la fascia più debole della popolazione, nella bolla va in onda un altro film. FQ MillenniuM racconta dall’interno il mondo placcato oro dei nuovi ricchi. Dagli oligarchi che gareggiano a chi ha più yacht e si comprano le squadre di calcio, giù giù fino a chi si deve “accontentare” di far saltare con la sciabola tappi di bottiglie di champagne da 1800 euro. O quelli che prenotano privé nei locali più esclusivi, ma badando bene che tutti possano vedere che se lo possono permettere. In Italia la riccanza ha un pioniere che risponde al nome di Flavio Briatore, a cui il mensile dedica un ritratto, dalle origini a oggi, senza sconti. Se l’esibizione della ricchezza, anche cafona, è sempre esistita, oggi la novità sono i social. Da Instagram a TikTok fanno incetta di visualizzazioni gli autodefiniti “rich kids”, ragazzini ricchi. Quelli dei selfie a base di orologi Patek Philppe, tute firmate Gucci, introvabili borse di Hermès poggiate con nonchalance su un sedile di businnes class… Un fenomeno che racconta anche il mutamento dell’economia globale. Storicamente i consumi di lusso erano appannaggio di un consumatore adulto europeo o nordamericano, ma nell’ultimo decennio si sono spostati a Oriente. La locomotiva oggi è la Cina: “L’età media dell’acquirente del lusso, anche per la composizione anagrafica dei cinesi, si è abbassata drasticamente, andando a includere i Millennials e la generazione Z”, spiega Stefania Lazzaroni, direttrice generale di Altagamma, la fondazione che raccoglie molti dei principali marchi italiani della moda, del design e di altri settori d’eccellenza del Made in Italy. “Oggi sono proprio questi giovani clienti, prevalentemente asiatici e altamente digitalizzati, la parte più significativa e interessante per i nostri marchi”.

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