Domenica 1 agosto 2021 a Tokyo è stata scritta la pagina di storia più importante dell’atletica leggera italiana. Gli ori olimpici di Marcell Jacobs nei 100 metri e di Gianmarco Tamberi nel salto in alto hanno cambiato il futuro dello sport azzurro in generale: due medaglie impensabili, allo stesso tempo espressione di un movimento che dopo anni di oblio sta pian piano emergendo a livelli di eccellenza. Ilfattoquotidiano.it ha intervistato Francesco Panetta, campione del mondo nei 3000 siepi a Roma nel 1987, oggi commentatore per discovery+.

Da atleta del suo calibro, cosa ha provato guardando quei due ori fantastici in successione?
Spesso mi chiedono ancora cosa abbia provato io vincendo i Mondiali di Roma 1987. Ecco, mi rendo conto di cosa sia una vittoria di questo livello proprio assistendo a quello che ho visto ieri (domenica, ndr). Ho provato orgoglio e quasi estasi di fronte alle vittorie di Tamberi e Jacobs, cosa che non ho provato nel 1987, perché ero giovane e avevo ancora una carriera davanti. Questi sono momenti che ti catapultano indietro nel tempo e nello spazio, ti fanno tornare al momento in cui eri tu a vincere. Ma a differenza di allora, ti sanno anche spiegare cosa sia la felicità della vittoria.

Lei e Andrea Campagna siete diventati virali, il video del vostro commento della finale dei 100 metri di Jacobs è emozionante. Pochi metri dopo lo sparo, lei già indicava Jacobs e la sua corsia, con lo sguardo di chi ha visto subito una scintilla.
Mentre Andrea Campagna era impegnato a dover descrivere tutto, dato il suo ruolo, io mi sono concentrato subito su Marcell Jacobs, perché subito ho capito che poteva farcela. Quel dito che lo indica voleva dire che non ero nella pelle, non potevo urlare o saltare perché ero in una cabina di commento e dovevo avere un certo contegno, ma quel gesto non sono riuscito a trattenerlo. Lì dentro c’era tutta la mia gioia e anche lo stupore nel vedere quello che stava accadendo sulla pista olimpica.

La vittoria di Tamberi è la vittoria di un campione che cade e vuole risorgere. La vittoria di Jacobs da dove viene? Nel 2018 faceva ancora il lungo, cosa è successo nel corpo e nella mente di Marcell in questi tre anni?
Jacobs, che conosceva bene le sue potenzialità, all’improvviso è stato completamente oscurato da un altro velocista, Filippo Tortu, il primo italiano ad abbattere il limite dei 10 secondi sui 100 metri. Secondo me quella prestazione di Tortu, il quale crescerà anche lui tantissimo in futuro, è stata fondamentale per avere il Marcell Jacobs campione olimpico di oggi, perché lo ha stimolato, ha voluto uscire da quel cono d’ombra che il compagno gli aveva proiettato con le sue grandi prestazioni. Poi ovviamente ci vuole il lavoro quotidiano e attento, perché fare sport è come andare a scuola. Puoi essere un genio, nel nostro caso un enorme talento atletico, ma se non fai un percorso di apprendimento lungo e faticoso, dalle elementari fino all’Università dello sport, i grandi risultati non possono mai essere raggiunti. Inoltre, lasciatemi ringraziare anche Paolo Camossi. Paolo quando era atleta è entrato in squadra nazionale mentre io ero il capitano. Ha fatto con me il giuramento. Vedere portare un suo atleta al più alto alloro possibile mi riempie di gioia anche per lui e il suo lavoro.

Due ori olimpici in 10 minuti potrebbero anche essere la vittoria di due grandi punte, due grandi campioni, ma le finali a raffica che stiamo raggiungendo, la crescita esponenziale di quasi tutti gli atleti, tanti al proprio personale o al record italiano, la vittoria nel medagliere degli Europei under 23 di luglio a Tallinn. Questa è una crescita di sistema?
Sì, è stata una crescita e sono vittorie di sistema, del sistema dell’atletica leggera. Da pochi mesi c’è stato un cambio al vertice della Federazione italiana, dopo anni di immobilismo e confusione. Ovviamente per costruire due atleti come Tamberi e Jacobs ci sono voluti anni, ma l’accelerazione degli ultimi mesi è stata fondamentale per vincere quei due ori, per ottenere i risultati con gli Under 23, che hanno sempre avuto un fuoco sotto che li ardeva. Quel fuoco non era mai avvampato come a Tallin per errori gestionali e tecnici. Io però ho una paura. Oggi il Consiglio federale è ancora spaccato e ci potrebbe essere chi rema contro la nuova gestione. Usiamo questi due ori come scintilla per il fuoco di cui parlavo e non impantaniamo tutto per giochi di potere che potrebbero frenare un movimento in crescita esponenziale.

L’atletica leggera italiana era ai minimi storici pochi anni fa, come è stato possibile raggiungere così velocemente questi traguardi?
La gestione tecnica degli atleti in molti casi è tutto. Chi mi vieta di pensare che Tamberi non avesse potuto vincere anche a Rio 2016? C’è stato un errore di gestione tecnico allora? Ecco, dopo queste vittorie dobbiamo lasciare delle posizioni ormai cristallizzate nella gestione politica e tecnica dell’atletica e sfruttare al massimo tutte le energie che abbiamo a disposizione. Se Tamberi e Jacobs sono due fiori sbocciati quasi nel deserto, oggi abbiamo un terreno prospero. Coltiviamolo tutti insieme per far crescere altri meravigliosi fiori.

L’atletica leggera potrà regalare altre sorprese da qui alla fine dell’Olimpiade?
Stiamo facendo davvero grandi cose. La finale di Sibilio nei 400 ostacoli, le ragazze del mezzofondo che si sono messe in luce, Osakue in finale con record italiano, tutti si stanno migliorando e sono fisiologiche anche alcune prestazione non dello stesso livello. Il voto per adesso è ottimo all’atletica leggera italiana a Tokyo, ma io spero ancora in gare dove la nostra tradizione può contare come la marcia e la maratona.

A proposito dei “suoi” 3000 siepi, i nomi degli atleti della sua squadra erano Francesco, Alessandro (Lambruschini) e Angelo (Carosi), oggi sono quelli di Ala, Osama (i fratelli Zoghlami) e Ahmed (Abdelwahed). L’Italia è cambiata.
L’Italia è cambiata perché siamo dentro un processo che non si può fermare. Il mondo sta cambiando e noi dobbiamo adeguarci per non restare indietro, da un punto di vista sociale, non parlo solo di atletica leggera. Sono sicuro che fra 15 anni un giornalista non mi farà nemmeno più una domanda del genere e sono sicuro questo futuro sarà migliore.

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