È un fatto matematico. Se oggi nella maggior parte delle corti d’Appello italiane i processi durano in media più di due anni, se il tempo per trasmettere gli atti in Cassazione oscilla tra sei e otto mesi, è evidente che la metà dei processi pendenti rischierebbe di finire in fumo”. Giuseppe Cascini, pm a Roma e consigliere Csm della corrente progressista di Area, riassume così in un’intervista a Repubblica il “giudizio critico” dell’organo di autogoverno sull’improcedibilità in secondo e terzo grado prevista dalla riforma Cartabia. Giudizio che è “ampiamente condiviso e prescinde dagli schieramenti”, specifica. “Io non amo i toni da battaglia, ma sono convinto che il Consiglio abbia il dovere di dire con chiarezza quali saranno le conseguenze: nessun imputato ha interesse a ricorrere ai riti alternativi se può puntare alla prescrizione. Gli imputati avranno interesse a fare appello per cercare di guadagnare l’improcedibilità”.

Queste critiche del Csm sono contenute in un parere che la sesta Commissione (competente su corruzione e antimafia) ha approvato a larga maggioranza il 22 luglio. E che però non potrà essere votato dall’intero organo – il plenum – il 28 luglio, come previsto: il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha infatti spinto per rimandare l’appuntamento in attesa che la Commissione formuli un parere sull’intera riforma (e non solo sull’improcedibilità) come richiesto – soltanto dopo il parere negativo – dalla ministra Guardasigilli. Così, però, il rischio è che sul testo di legge, atteso in aula alla Camera il 30 luglio, venga posta la fiducia senza che il plenum faccia in tempo a esprimersi. “Trattandosi di un segnale importante di attenzione e di ascolto del Consiglio, riteniamo giusto aderire all’invito del presidente – dice Cascini – mi auguro però che questo segnale non venga contraddetto dai passi successivi del governo. Se si chiede al Csm un parere su una riforma complessa e articolata il giorno 22 luglio, si deve poi consentire allo stesso Csm di fornire il suo contributo. La questione di fiducia posta il 30 luglio renderebbe impossibile farlo”, e “l’effetto paradossale sarebbe di sottrarre alla conoscenza della Camera e dell’opinione pubblica il contenuto del parere sull’improcedibilità che la Commissione ha già elaborato”.

Ribadisce le critiche già espresse alla “ghigliottina” ai processi, in un’intervista alla Stampa, anche il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia. “Se resta così com’è, non è una previsione ragionevole nè sostenibile. Non tiene conto della cruda realtà dei nostri uffici giudiziari. Non basta scrivere sulla carta che i processi d’appello vanno celebrati entro due anni, non ci si può riuscire se le principali corti d’Appello d’Italia sono sommerse di arretrato e largamente in ritardo su questa tabella di marcia. Il principio va benissimo – precisa – ma nella concreta attuazione deve essere sostenibile. Nessuno può pensare, credo, che la magistratura non voglia tempi certi, e aggiungo veloci, per il processo. Ma devono essere ragionevoli. E chiunque si rende conto che con questa proposta del governo, ciò non è e non sarà“. La conto-proposta dell’Anm, riassume, è di “concedere termini più ampi“, ma solo “al termine di una congrua fase transitoria” per preparare gli uffici giudiziari ad affrontare la riforma, “oppure affidare al giudice la decisione” sulla durata.

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