Sono poeti nascosti al mondo, non so come dirlo meglio. Sono affini in qualche modo, hanno scelto la milizia nella poesia che diventa feconda soltanto in una disciplinata rinuncia, e i loro versi sgorgano così, similmente alla fonte ai piedi della ripida purissima, la parola che emana alla fine di una meditazione, trappisti nel cenobio. Mi riferisco a Davide Brullo (Milano, classe 1979) e Andrea Ponso (Noventa Vicentina, 1975), giovani poeti contemporanei, storie diverse ma che a un certo punto si incontreranno; entrambi ad esempio hanno affrontato più volte il testo sacro, nella rivisitazione postmoderna, coraggiosissima e profonda. È l’ultima fatica di Andrea Ponso, lavorare sui salmi nella tradizione ebraica. La restituzione dei salmi firmata da Brullo viene ripubblicata invece nei mesi scorsi da Aragno, la prima edizione risale al 2011.

Dunque non solo poeti o altrimenti nella delicatissima estensione. Poeti con indole ascetica, sedotta dal dogma, con parametri dovutamente esigenti.

Andrea Ponso si è dedicato per anni agli studi teologico-liturgici nell’Istituto di Liturgia Pastorale di S. Giustina (Padova). Ha fatto parte del comitato scientifico del Monastero di Camaldoli. Ma è il poeta raffinato, oscuro, schivo, che dovremmo indagare. Ponso decide di ritirarsi dalle cose della vita, dall’inutilità mondana, persino della gloria. Eppure è un nome alto, riconosciuto dalla critica. Lui stesso critico durissimo, impietoso, leale, feroce con tutti, con sé stesso. Un poeta quindi. La sua ortodossia lo spinge a chiose definitive, separare il poeta dall’opera. Abbandonarla subito dopo. Una specie di parto improprio da rigettare.

Qui riproduco alcuni suoi versi, che pubblica raramente, oramai perlopiù come una faccenda impersonale altrui, estranea, distratta, eppure eccoli:

(…) Dalla rupe pernici, e uno sciame d’api che oscura i cieli. L’ultimo giardino delle Esperidi in fiamme. Retorica e bucce di mandarini lentamente bruciate sulla stufa: la mano scorre note a margine che fioriscono come passiflora …non significa niente, questo? è ormai troppo stretto il basto? Togli la lama dal cassetto e, tagliandole, inventa nuove vene (…)

Davide Brullo è un cervello enorme, perdonate la brutalità della semplificazione, è un po’ tutto. Saggista, traduttore, critico (folle, leggete le sue “Stroncature”, nel volume pubblicato di recente da Gog edizioni). Scrittore. Poeta. Vi dicevo dell’affinità con Ponso, per alcune scelte dettate da scrupoloso rigore, ai limiti dell’immolazione. Entrambi decidono di stazionare nell’ombra fervida della creazione, sempre in bilico tra la sacra violenza e l’oscurità priva di redenzione.

Brullo scrive nel suo getto apocalittico, il linguaggio è simbiotico, spesso nebuloso, incomprensibile nella specie della stratificazione, o ancor meglio di un certo simbolismo, russo, acmeico. I suoi versi tuonano come in un totem nefasto, millenario, a tratti nostalgico di una lunga irrevocabile assenza. Il simbolismo di Brullo diventa una profezia irreparabile, alla fine di un tormento, un sogno acido. C’è molto nella sua bibliografia da leggere, da verificare, stralunati un po’, sconcertati di solito.

Ci tenevo a sottolineare questa linea segreta della poesia, che avanza con suoi esagerati combattenti nella fermezza, nell’onestà dotta e purificata che spesso confondiamo con la crudeltà.

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