Che cosa vuol dire essere femminista oggi, che cosa significa esserlo in Italia. Perché si parla di femminismi al plurale e il singolare non basta per contenere un mondo in continua evoluzione. Perché è un segno di crescita e di messa in discussione di un sistema che ancora (e troppo) sembra non poter essere scalfito. Quante le storie e le difficoltà dietro ogni pratica, dietro ogni conquista. Quali gli ostacoli superati e quali quelli da superare ancora. Ci sono tutti questi interrogativi e alcune delle risposte possibili ne “Il terribile inganno”, il film documentario che racconta il movimento femminista italiano oggi e lo fa partendo dal gruppo di “Non una di meno” di Milano. Una vera e propria cronaca in presa diretta di quel movimento transnazionale che dall’otto marzo 2017 riempie le piazze italiane e impone nell’agenda politica e giornalistica del Paese temi che altrimenti rischierebbero di restare ancora ai margini. La regista è Maria Arena che, sette anni dopo il lavoro dedicato a transessualità ed esclusione sociale (“Gesù è morto per i peccati degli altri”), ha scelto di raccontare una storia che prima ancora di essere collettiva è personale: ha seguito per tre anni le attiviste di Non una di meno e al centro del racconto ha messo anche se stessa, madre cinquantenne di due figli maschi, lavoratrice e attivista che si interroga sul suo essere donna e sull’esserlo nel 2021.

Ed è proprio questa la prima forza del documentario, prodotto da Invisibile Film e realizzato grazie a un crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso: partire dalle domande che tutte condividiamo senza imporre risposte. Partire da quelle più semplici e non dare per scontato nessun passaggio. L’incontro con il movimento di Non una di meno per Maria Arena risale all’8 marzo 2017, primo sciopero nazionale in occasione della festa della donna. Nel documentario si vedono e si sentono le voci delle protagoniste che riempirono quella prima piazza, dando un primo impulso a un fenomeno che non si sarebbe più arrestato. “La prima reazione quando si chiede a una donna se è femminista, spesso è di difesa”, è una delle dichiarazioni che aprono il film. Un assunto che in tante condividono e che piano piano viene smontato, arricchito, argomentato. In quello sciopero Maria Arena intervista per prima cosa ragazze giovanissime, ancora minorenni, e sono le loro parole sulla necessità di essere in piazza ad accompagnare il “risveglio”. Da lì inizia una cronaca preziosissima: la regista segue il gruppo di Non una di meno in alcune fasi decisive della sua nascita e formazione, documentando un movimento unico con le sue forze e contraddizioni.

Sono tanti i temi in gioco. Innanzitutto la lotta alla violenza sulle donne, come insegnato dalle attiviste sud americane con il loro grido Ni una menos: la regista segue le attiviste italiane nella seconda grande manifestazione contro la violenza in Italia, il 25 novembre 2017. Ma pure nelle scuole per i primi corsi di educazione sessuale auto organizzati per rispondere a domande concrete che altrimenti vengono lasciate all’interpretazione libera. E non c’è solo la dimensione di piazza, ma anche quella della riflessione. Maria Arena segue le attiviste nelle lunghe assemblee, incontri di riflessione dove una delle prime preoccupazioni è quella di migliorare nel coinvolgimento e nell’intersezionalità perché “nessuna sia esclusa”.

E’ in quelle stanze che viene scritto il “Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e violenza di genere”, un documento frutto del lavoro dal basso di attiviste e militanti. Ed è sempre in quelle assemblee che compare una delle colonne del movimento a Milano e non solo: Lea Melandri. Scrittrice e femminista storica, prezioso punto di riferimento, ha accompagnato il gruppo in molte delle sue fasi di riflessione più importanti: quella sulla soggettività che, dice Melandri in alcune delle conversazioni raccolte, rischia di essere trascurata. “Non una di meno non è solo un soggetto politico, è un soggetto rivoluzionario”, è la testimonianza raccolta. “Dobbiamo capire come si colloca la soggettività” nel movimento. Perché “è sparita”. “Ma non la nominiamo più perché siamo tutte liberate? Non è così e altre donne devono riconoscersi in quello che diciamo”. E, è il messaggio di Lea Melandri, “dobbiamo capire come arrivare a queste soggettività”. La battaglia riguarda tutte ogni giorno e per ogni scelta di vita. Anche per questo Maria Arena cita una frase fondamentale della poetessa e scrittrice Audrey Lorde: “Non esiste una cosa come la lotta univoca perché non viviamo vite univoche. L’obiettivo non è cambiare la situazione complessiva, ma quel pezzo di oppressione che abbiamo in ciascuno di noi”. E il film, che ha accompagnato la regista nel suo percorso di scoperta di Non una di meno e del femminismo in Italia, si conclude anche parlando di come è cambiato lo sguardo di Maria Arena. ” Piano piano la parola femminismo ha assunto per me un nuovo significato”, dice. “I diritti conquistati vanno difesi e il cammino non è ancora finito. Essere femminista è una postura necessaria ancora oggi“.

Articolo Precedente

Sogno la toga, ma le prove del concorso ora durano meno. E io, disabile, mi sento esclusa

next
Articolo Successivo

Santa Maria Capua Vetere, le istituzioni diano un messaggio forte contro la violenza in carcere

next