“Il nostro è uno Stato laico, il Parlamento è sempre libero di discutere e di legiferare”. Dopo una giornata di attesa, nella sua replica in Aula al Senato il premier Mario Draghi è intervenuto sul ddl Zan e l’ingerenza del Vaticano nelle attività del Parlamento. La Santa Sede ha chiesto all’Italia di modificare il disegno di legge contro l’omotransfobia, già approvato alla Camera e ora fermo a Palazzo Madama, impugnano l’articolo 2 del Concordato del 1984. Il presidente del Consiglio, però, ha voluto ricordare che “il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per rispettare gli impegni internazionali, tra cui il Concordato. Ci sono controlli preventivi nelle commissioni parlamentari. Ci sono controlli successivi della Corte costituzionale“. “Il governo non entra nel merito della discussione. Questo è il momento del Parlamento, non è il momento del governo”, ha poi concluso Draghi. Il momento dell’Aula di Palazzo Madama però non è ancora arrivato: la capigruppo riunitasi dopo le comunicazione del premier non ha trovato un accordo su quando cominciare a discutere sul ddl Zan: la calendarizzazione sarà quindi votata in Aula il 6 luglio. Pd, M5s, LeU, Iv e Autonomie chiederanno che l’esame inizi nella settimana del 13 luglio.

L’intervento di Draghi, anticipato ieri dallo stesso premier, è arrivato solo al Senato, dopo che alla Camera i deputati avevano tutti taciuto sulla questione. Che invece è stata accennata dal senatore democratico Alessandro Alfieri, seppure senza interpellare direttamente al premier. Draghi però non ha sviato: “A proposito della discriminazione. Mi soffermo sulla discussione di questi giorni in Senato, senza voler entrare nel merito della questione”, ha detto appunto rispondendo al senatore Alfieri. “Il nostro è uno Stato laico, non confessionale. Il Parlamento è sempre libero di discutere e di legiferare”, ha proseguito Draghi. Il presidente del Consiglio ha quindi citato una sentenza della Corte Costituzionale: “La laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, è tutela del pluralismo e della diversità“. “Ci riconosciamo completamente nelle sue parole”, ha scritto poco dopo su Twitter il segretario del Pd, Enrico Letta.

Per la senatrice Pd, Monica Cirinnà, tra le promotrice del test e responsabile nazionale dei diritti, le parole di Draghi sono “altissime e sagge“. “Ha ricordato che il nostro è uno stato laico e ha messo al centro il Parlamento e le sue prerogative. Ha ricordato che nel nostro sistema esistono tutte le più opportune garanzie per assicurare la legittimità costituzionale delle leggi e che la laicità non è indifferenza al sentimento religioso, ma tutela del pluralismo e delle diversità culturali”, ha spiegato Cirinnà. “Un ottimo intervento – ha aggiunto – che conferma la necessità di procedere nei lavori parlamentari sul ddl Zan, avendo come faro – con la laicità – la tutela della dignità delle persone”. “Si vada avanti con ddl Zan, se ci sono problemi di costituzionalità e di impegni internazionali con Stati esteri nel testo, saranno le commissioni preposte ad indicarlo. La destra ha scelto di non confrontarsi ma di fare melina sul provvedimento”, afferma anche il senatore Pd, Andrea Marcucci. Draghi, spiega la capogruppo di Leu Loredana De Petris, “ha fatto benissimo anche segnalare che è il Parlamento e non il governo a dover decidere sul ddl Zan, che oltretutto è una legge di iniziativa parlamentare. Discutere la legge è compito e prerogativa del Parlamento e la legge, bloccata per troppo tempo dall’ostruzionismo leghista in commissione Giustizia, deve essere portata subito in aula”. È intervenuto anche Andrea Ostellari, senatore leghista e presidente della Commissione Giustizia a Palazzo Madama: “Ho apprezzato la replica di Draghi. Certamente l’Italia è uno stato laico, ma laicità, come ha specificato, è tutela del pluralismo e delle diversità culturali. Comprese le sensibilità religiose. Il parlamento lavori e lavorino le commissioni, che, come ha chiarito il premier, hanno il compito di eseguire preventivi controlli di costituzionalità sui disegni di legge”.

LA CRONACA ALLA CAMERA
Prima dell’intervento al Senato, la Camera era rimasta zitta e ipocrita di fronte a Draghi e alla questione ddl Zan-Vaticano. Solo Nicola Fratoianni di Sinistra italiana nelle dichiarazioni di voto, e quindi quando formalmente il presidente del Consiglio non era più autorizzato a rispondere, aveva chiesto chiarimenti. Al Senato ha provato ad accennare qualcosa il gruppo Pd, senza però mai interpellare direttamente il premier: “Auspichiamo, rispetto alle ultime evoluzioni, che si guardi al Parlamento”, ha detto Alessandro Alfieri parlando a nome dei dem. “Il Parlamento lavorerà ascoltando, dialogando, con rispetto delle norme nazionali e internazionali ma ci ispireremo ai principi della laicità, libera Chiesa in libero Stato“. Sono bastate queste poche parole per ottenere una risposta nel merito da parte di Draghi.

Eppure, le informazioni fatte trapelare da Palazzo Chigi e alcune anticipazioni dei giornali, tra cui il Corriere della sera, lasciavano tutte intendere che il presidente del Consiglio avrebbe preferito non affrontare l’argomento e che semmai avrebbe usato parole meno nette, sottolineando come “dovranno essere valutati gli aspetti segnalati da uno Stato con cui abbiamo rapporti diplomatici”. Alla fine l’intervento c’è stato, al Senato. Alla Camera, invece, tutti i deputati, ubbidienti (come già troppe volte in passato), non hanno voluto non mettere la faccia sulla questione, dando la possibilità a Draghi di evitare di esporsi sull’argomento. Peccato che solo ieri, dopo la notizia quasi senza precedenti dell’intervento della Chiesa su una legge in discussione in Parlamento, era stato lo stesso premier a dichiarare: “Domani sarò in Parlamento e risponderò in maniera strutturata, è una domanda importante“.

Nel silenzio di Montecitorio, l’unico a parlare è stato appunto Fratoianni. “Signor presidente ci sarebbe piaciuta una sua parola sull’ingerenza del Vaticano“, ha detto, “sulla quale il presidente Fico ha detto delle parole per le quali lo ringrazio. E al Vaticano andrebbe fatto osservare che se ritiene violato il Concordato, lo si potrebbe sempre ridiscutere”. Il deputato è intervenuto appunto in dichiarazione di voto a titolo personale, in quanto unico esponente di Sinistra italiana in Leu. Ma a quel punto non era più possibile avere la risposta di Draghi. Insomma, l’assenza totale di una qualsiasi presa di posizione (a favore o contro) dimostra che l’intervento del Vaticano ha avuto l’effetto sperato: mettere a tacere i partiti che ora più che mai temono gli effetti del dibattito sul loro consenso.

Nel frattempo non una parola è stata pronunciata in Aula dai promotori dell’asse Pd, M5s, Leu e Italia viva. Il segretario dem Enrico Letta, nel forum dell’Ansa, si è limitato a dire che “aspettano Draghi”: “Guarderemo quello che il governo ci dirà perché è titolare dei rapporti con la Santa Sede, non è una questione interna al dibattito italiano ma di rapporti giuridici tra due Stati, regolati dal Concordato”. Ma se Draghi non ha detto niente, i deputati dem non hanno azzardato alcuna domanda. In Aula per il Pd ha parlato il deputato Andrea De Maria e si è occupato di pandemia, vaccini e di Europa. Nessun riferimento al ddl Zan. Non ha parlato neppure il deputato Pd, primo firmatario del testo, Alessandro Zan. La situazione non cambia se si guardano i colleghi del Movimento 5 stelle, che hanno da sempre dato il loro appoggio al provvedimento, ma di sicuro continuano a vederla come una legge a traino Pd. E quando è toccato parlare ad Angela Ianaro a nome del M5s, ha affrontato il tema del mancato sequenziamento delle varianti, ma non certo il ddl Zan.Prima del discorso di Draghi al Senato, l’unica parola netta oggi era arrivata dal presidente della Camera Roberto Fico ed esponente 5 stelle che ha “respinto” le ingerenze del Vaticano: “Il Parlamento è sovrano”, ha detto ad Agorà sui Rai3, “i parlamentari decidono in modo indipendente quello che vogliono votare. Il ddl Zan è già passato alla Camera e adesso è in Senato, noi come Parlamento non accettiamo ingerenze. Il Parlamento è sovrano e tale rimane sempre“. Al momento non è stato seguito dalla presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati.

Il ddl Zan è bloccato in commissione Giustizia al Senato, dove il centrodestra continua a chiedere modifiche al testo e a fare ostruzionismo. La rottura riguarda la maggioranza che sostiene Mario Draghi e anche per questo l’asse giallorosso aveva deciso di temporeggiare e non chiedere di arrivare al voto a Palazzo Madama. Alla luce però del blocco continuo di Lega, Fi e Fdi e dopo l’intervento della Chiesa, oggi l’asse giallorosso (Pd, M5s, Leu e pare anche Italia viva) sarebbe intenzionato a forzare e chiedere in capigruppo di arrivare al voto a Palazzo Madama. Per farlo servirebbe uno scatto da parte del Parlamento, ma, stando a quanto dimostrato nel dibattito di Montecitorio e in parte anche al Senato, gli eletti non sembrano intenzionati a farlo.

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