Avrebbe diffuso dall’estero notizie e dichiarazioni false sulla situazione interna del Paese: critiche al governo nei confronti della gestione dell’emergenza Coronavirus. Con questa accusa il tribunale per la sicurezza dello Stato di New Cairo, attiva per i reati di emergenza nazionale, ha emesso ieri una sentenza durissima nei confronti di Ahmed Samir Santawi, lo studente egiziano dell’università di Vienna arrestato il 1° febbraio scorso di rientro nel suo Paese proprio dall’Austria: 4 anni di reclusione e una multa di 500 sterline. In base ai criteri della legge di emergenza che ha condannato Santawi, la sentenza emessa ieri dalla Corte della capitale non può essere impugnata. Non finisce qui per il giovane studente della Ceu (Central European University), ancora detenuto per un caso precedente, il n.65 della Sicurezza Suprema dello Stato; si tratta del caso originale, quello che il 1° febbraio scorso lo ha portato nel giro di un’ora dalla libertà ad una cella della stazione di polizia, sempre a New Cairo.

La vicenda Ahmed Samir Santawi prende dunque una piega decisamente più drammatica rispetto a quanto sta accadendo a Patrick Zaki, il 30enne (i due sono coetanei) iscritto al corso Erasmus presso l’università di Bologna in cella dal febbraio 2020 in attesa di processo. Zaki è in carcere a Tora in attesa di giudizio da quasi 17 mesi. Due storie umane e giudiziarie analoghe per tutta una serie di motivi, a partire dalla loro frequentazione di studi in atenei europei, le modalità dell’arresto e gli addebiti, ossia alcuni post sui social considerati ‘dannosi’ dalle autorità egiziane. Nel frattempo è successo qualcosa per quanto concerne il percorso giudiziario di Santawi.

Quel qualcosa potrebbe essere collegato ad una denuncia presentata dai legali dello studente nel maggio scorso. Durante una delle udienze di rinnovo della detenzione Santawi aveva raccontato un episodio avvenuto nella sezione Liman del carcere di Tora dove lo studente è rinchiuso da inizio febbraio. Si tratta di un’aggressione subita dallo stesso Santawi e da un altro detenuto, l’ex deputato egiziano Ziad al-Alimi, da parte di un gruppo di guardie carcerarie, compreso il vicedirettore della prigione. I due avevano fatto visita, nella stessa sezione carceraria, ad un loro collega a cui lo stesso giorno era morto il padre per portare le loro condoglianze. In cambio hanno ricevuto botte e violenze.

Gli avvocati dell’Afte (l’Agenzia per la libertà di pensiero ed espressione) hanno richiesto anche una perizia scientifica per dimostrare i danni subiti da Santawi e al-Alimi. Era il 21 maggio e guarda caso il giorno dopo la stessa Corte Suprema ha deciso di indagare Santawi per un nuovo caso, il n. 877 del 2021 (quello originale successivo all’arresto è il n. 65 del 2021). Nello specifico l’accusa ha portato come prova alcune indagini tecniche, tradotto si tratta di un account Facebook attribuito a Santawi, account che il diretto interessato ha negato di aver mai aperto e usato. Il 29 maggio è arrivato il deferimento ufficiale nei confronti dello studente egiziano da parte della Corte Suprema che ha prima fissato il processo per il 1° giugno, rimandandolo prima all’8 ed infine al 22 giugno.

Pochi giorni, un pugno di post di difficile attribuzione e zero indagini: materiale sufficiente per rinchiudere Santawi in cella per 4 anni. “Abbiamo chiesto l’illegittimità degli elementi raccolti sotto il profilo tecnico, perché quel materiale non prova un collegamento diretto al nostro assistito – hanno spiegato i legali dell’Afte -. Le indagini, inoltre, non hanno seguito metodi legali corretti e ci sono discrepanze incredibili tra le dichiarazioni e le prove raccolte dall’accusa. È stata chiesta l’assoluzione anche alla luce dell’inappellabilità della sentenza che prevedeva una condanna massima di 5 anni”.

La sentenza di ieri era attesa con un misto di ansia e speranza da molti ambienti, a partire da quello accademico austriaco. E poi c’è una persona che più di altre pendeva dalle labbra del giudice, la fidanzata di Ahmed Samir, Souheila Yildiz: “Non accetteremo mai questo verdetto – ha affermato la ragazza -. Una condanna senza prove e senza la possibilità di ricorrere. Prima o poi la giustizia farà il suo corso, ma ora siamo tutti molto tristi e arrabbiati”. Infine un commento alla sentenza da parte di Hossam Bahgat, direttore dell’Eipr, giornalista e tra i massimi difensori dei diritti umani e civili in Egitto, lui stesso più volte arrestato e la settimana scorsa scampato ad una possibile e nuova imputazione: “La condanna per Ahmed Samir Santawi è pazzesca: l’Egitto è una grande prigione” ha detto Bahgat.

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