Non si arrestano gli scandali che coinvolgono la famiglia reale britannica. Secondo alcuni documenti esclusivi visionati dal Guardian, in passato Buckingham Palace ha negoziato delle “controverse clausole” perché la regina e tutti i membri della famiglia reale fossero esenti dal rispetto delle leggi che vietano la discriminazione razziale e di genere nel Regno Unito. La negoziazione delle speciali condizioni è avvenuta nel corso degli anni Settanta, ma tali esenzioni sarebbero valide tutt’oggi. I documenti testimoniano come Buckingham Palace abbia escluso deliberatamente per decenni “stranieri e immigrati di colore” da qualunque ruolo d’ufficio (men che meno di responsabilità) anche sotto il regno di Elisabetta II; e che abbia negoziato “in segreto” clausole tuttora in vigore – seppure solo sulla carta – destinate a esentare potenzialmente l’istituzione monarchica dal rispetto dal divieto imposto dalle leggi contemporanee alle discriminazioni basate sulla razza o sul sesso.

L’esenzione divenne operativa quando il Regno Unito cominciò ad introdurre una serie di provvedimenti volti a contrastare le discriminazioni su base razziale. All’epoca, i governanti si coordinarono con i consiglieri della famiglia reale per la formulazione ad hoc delle leggi. I documenti – custoditi negli Archivi nazionali – emergono proprio in un momento di forte pressione per la monarchia britannica. Dopo l’ormai nota intervista concessa alla famosa conduttrice televisiva Oprah Winfrey dal principe Harry e sua Meghan Markle, la famiglia più importante del Regno Unito era già stata al centro delle polemiche per le presunte discriminazioni. In quell’occasione, la duchessa di Sussex ha, infatti, denunciato alcuni atteggiamenti razzisti che viziavano l’ambiente reale.

Fra le carte più esplosive riesumate dal Guardian, vi è una lettera risalente al fatidico 1968 firmata da un alto funzionario, TG Weiler, all’epoca chief financial manager a palazzo, per chiarire nero su bianco – mentre mezzo mondo manifestava per i diritti civili – come non fosse “pratica (della casa reale) assegnare incarichi amministrativi (clerical roles) a immigrati di colore o stranieri”. Ai quali veniva riservato solo l’accesso ai ranghi della “servitù”. Una pratica rispetto alla quale, rincara la dose il giornale, la dinastia e la corte non esitarono a tutelarsi: utilizzando una vetusta procedura parlamentare, detta Queen’s Consent, per garantirsi l’esenzione dagli obblighi della nuova legislazione anti-discriminatoria che il governo laburista di Harold Wilson stava preparando e che sarebbe stata approvata definitivamente nei primi anni ’70. Privilegio di cui Buckingham Palace non ha negato l’esistenza in uno scarno comunicato di risposta partorito oggi, sebbene non senza precisare come nel frattempo sia stata varata una “procedura speciale” attraverso la quale la sovrana è adesso in grado di ricevere e accogliere reclami contro ogni forma di disparità. Scavando, il Guardian ha tuttavia individuato come la discriminazione delle minoranze sia stata probabilmente mantenuta anche oltre il termine della fine degli anni ’60 certificato dalla lettera di Weiler: visto che non risultano agli atti assunzioni a corte di funzionari, quadri o impiegati di radici caraibiche, africane, asiatiche e così via sino a ben dentro gli anni ’90.

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