I politici catalani in carcere per il referendum indipendentista del 2017 potrebbero tornare in libertà tra non molto. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha espresso chiaramente la sua intenzione di concedere l’indulto appellandosi ai valori costituzionali della “concordia e della comprensione”. Le sue parole hanno provocato l’ira dell’opposizione e sono state accolte con scetticismo anche da alcuni colleghi del Partito socialista. Ma il rifiuto più netto proviene dalla Corte Suprema, che reputa l’idea “inaccettabile”.

Sánchez non ha perso tempo e ha cominciato ad agire qualche giorno dopo l’inizio del mandato di Pere Aragonés come presidente della Catalogna. Gli obiettivi del nuovo esecutivo regionale restano sempre gli stessi: amnistia per i “prigionieri politici” e referendum pattuito con lo Stato sullo stile scozzese. Il secondo punto verrà affrontato soprattutto dalla mesa de diálogo, una tavola rotonda tra Madrid e i partiti indipendentisti; per il primo invece la via prediletta è l’indulto. Contrariamente all’amnistia, che annulla il delitto, manterrebbe l’inabilitazione politica e restituirebbe la libertà ai prigionieri grazie a uno sconto di pena.

Da parte dell’esecutivo si tratta di un messaggio di apertura che vuole ribadire il carattere democratico della Spagna, spesso paragonata dagli indipendentisti catalani alla Turchia quanto a repressione degli oppositori interni. Per questa ragione Sánchez ha chiesto la comprensione dell’opposizione ricordando quando nel 2017 appoggiò il governo di Mariano Rajoy nella risposta al referendum perché “era una questione di Stato”. Ma la risposta di Pablo Casado, leader dei popolari, è stata feroce: “Fare un colpo di Stato non è un valore costituzione”, ha scritto su Twitter.

Nulla paragonato alla dettagliata stroncatura della Corta Suprema, che ha parlato all’unanimità di “soluzione inaccettabile”. Per i giudici — tra cui Manuel Marchena, che ha condotto il procés — non esiste alcun argomento che giustifichi l’indulto. In nessun caso: né per i nove condannati da 9 a 13 anni di carcere per sedizione, come il presidente di Esquerra Republicana Oriol Junqueras, né per i tre che non sono finiti in carcere ma sono stati inabilitati per disobbedienza. Una delle basi dell’indulto è che ci sia pentimento da parte dei condannati, ma non è questo il caso. Chi si è espresso, come il presidente dell’associazione Omnium Jordi Cuixart, ha ribadito che rifarebbe tutto perché ritiene di non aver commesso nessun illecito.

Il testo della Corte Suprema non è vincolante ma limita l’applicazione dell’indulto, che può essere solo parziale. Le opzioni sul tavolo per il governo Sánchez sono quindi due: ridurre la pena, quella più probabile, o commutarla. La decisione era prevista per l’estate, ma si parla di un possibile anticipo. Adesso spetta al ministero della Giustizia elaborare una proposta e mandarla al Consiglio dei Ministri, che prenderà la decisione finale. Precedentemente anche la Procura si era opposta, segnalando l’indulto come “moneta di scambio per l’appoggio parlamentario”.

Gli stessi colleghi socialisti non sono convinti della scelta di Sánchez e temono che il loro elettorato possa reagire negativamente. L’ex premier Felipe González ha dichiarato che “in queste condizioni” non concederebbe l’indulto e così anche il presidente della Castiglia e La Mancia Emiliano García-Page. L’unico che finora si è espresso a favore è un altro ex premier, José Luis Zapatero: “Dobbiamo fare le cose che importano davvero, pensando nell’interesse generale e non nel breve periodo. La democrazia – ha detto – deve prendere l’iniziativa, altrimenti cosa vogliamo fare? Vogliamo tornare alla lezione del 2017?”.

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