I finanzieri di Padova hanno calcolato che ognuno dei sinti arrestati o indagati che chiedevano soldi a don Albino Bizzotto, il generoso presidente di “Beati i costruttori di pace”, lo abbia tartassato con una media di 6 telefonate al giorno. È così che si è arrivati alla cifra mostruosa di 14mila chiamate spalmate in un arco di due anni, dal luglio 2018 al luglio 2020, con cui il prete degli ultimi, il sacerdote pacifista, l’animatore di marce e sit-in non violenti, è stato letteralmente bombardato. La sua bontà è stata turlupinata e lo ha fatto sprofondare in un incubo, a cui hanno messo fine sei arresti e cinque misure interdittive per interdizione d’incapace e tentata estorsione. Quest’ultimo reato si riferisce alle minacce dell’ultimo periodo, quando il sacerdote non aveva più soldi da dare ai suoi persecutori. Non c’è la contestazione di una associazione per delinquere, visto che i nomadi che ricorrevano all’aiuto di don Albino non appartenevano allo stesso gruppo. Infatti, sono domiciliati in quattro campi diversi, a Cadoneghe e Vigonza, in provincia di Padova, a Santa Maria di Sala (Venezia) e a Montecchio Maggiore (Vicenza). Però il metodo usato era sempre lo stesso, evidentemente aveva funzionato una specie di passaparola. E così il pm Giorgio Falcone ha contestato pure il reato di stalking, anche se il gip Domenica Gambardella non lo ha inserito tra le motivazioni degli arresti.

Don Bizzotto ha dato credito ai bisogni che gli venivano rappresentati dai sinti. Spese legali, malattie di familiari, disoccupazione, bisogno di medicine, crediti bloccati per cause giudiziarie… In totale circa 370mila euro. Don Albino si era rivolto ad amici e conoscenti, chiedendo loro dei prestiti. Era infatti convinto che i soldi che sborsava sarebbero ritornati. In realtà si trattava di versamenti a fondo perduto.

Il dramma di don Albino, diventato anche quello dei “Beati i costruttori di pace”, è raccontato da due lettere che il consiglio direttivo dell’associazione ha inviato a soci, simpatizzanti e amici, e di cui ilfattoquotidiano.it è entrato in possesso. La prima (1 luglio 2020) fa riferimento a un incontro del 23 giugno. “Negli ultimi tempi, in particolare nel periodo del lockdown, don Albino ha ricevuto richieste continue e urgenti di denaro da persone sinti. Erano in contatto con lui da tempo ed avevano già accumulato cifre considerevoli come prestiti, ottenuti nell’arco di molti mesi e che si erano impegnate a restituire. Le richieste si sono fatte pressanti ed erano sempre legate alla restituzione delle somme prestate in precedenza”. Alcune settimane prima don Albino aveva “riconosciuto che la situazione non era più sostenibile, anche se, ci tiene ad affermare, non si è trattato di estorsione né di azioni ricattatorie”. Evidentemente ha cercato di non aggravare la posizione dei suoi persecutori che avevano approfittato della sua bontà.

Il 10 giugno era stata presa la decisione “di sospendere tutti gli esborsi in contanti dell’associazione. Abbiamo pensato che fosse necessario uno stacco netto con l’erogazione di contanti, a qualsiasi titolo, a tutte le persone che chiedono un aiuto. Al contempo si è messo in moto un percorso di denuncia/querela nei confronti di 7 persone”. Don Albino non possedeva i soldi che poi ha distribuito. Per questo “aveva chiesto prestiti ad amici e conoscenti: aveva fiducia nelle parole dei richiedenti che gli assicuravano che le diverse cifre servivano variamente per pagare l’onorario di un avvocato, oppure per risarcire un danno commesso nel corso di un reato pregresso, o altro, e che la ‘pendenza’ impediva loro di ricevere dei fondi che spettavano loro, e con i quali avrebbero poi potuto restituire la somma”. Il consiglio direttivo, non potendo attingere ai fondi della Onlus per restituire il denaro a chi lo aveva prestato a don Albino aveva lanciato una raccolta di fondi agli amici. “Albino già mette a disposizione per intero la sua pensione, ma non ha altre fonti a cui attingere”.

L’associazione era corsa ai ripari, istituendo una commissione per gestire “le abituali attività di assistenza, anche con contributi in denaro, per le persone bisognose”. Insomma, ha introdotto “criteri e regole” di trasparenza. Il 23 luglio una seconda lettera. “Vi ringraziamo per la dimostrazione di affetto e vicinanza a don Albino: in molti avete risposto con sollecitudine per contribuire a ripianare il debito, con varie modalità. Per quanto concerne la restituzione dei prestiti fatti a don Albino, possiamo informarvi che tutti coloro che avevano urgenza di essere rimborsati hanno ormai ricevuto le cifre richieste. La cifra dei prestiti fatti a don Albino è molto inferiore a quella presente nella denuncia/querela che è stata sporta, perché tale cifra non è costituita solo dai prestiti”.

Sulla vicenda è intervenuto anche il vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla. Negli ultimi anni numerosi sacerdoti della Diocesi sono finiti nel mirino di malintenzionati (in qualche caso anche per ricatti a sfondo sessuale). Il vescovo ha ricordato il vademecum diffuso un mese fa che detta alcune regole per la “trasparenza nella rendicontazione economica di soldi che sono della comunità e non personali”. Invita alla “condivisione delle scelte economiche con gli organismi di comunione (il consiglio pastorale parrocchiale e il consiglio parrocchiale per la gestione economica)”. Indica la “necessità che i prestiti vengano autorizzati e siano sempre documentati”, nonché la “trasparenza e la tracciabilità di qualsiasi operazione economica, anche quelle caritative”. Se si fa beneficenza, è l’invito, bisogna condividere le decisioni e lasciarne una traccia. Applicazione del Vangelo un po’ burocratica, forse, ma sicuramente moderna.

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