È scattata l’ispezione del server di Napoli della Rcs, cioè la società che ha fornito ai magistrati gli apparati e i programmi per svolgere le intercettazioni nell’indagine sul caso nomine al Csm. Ascolti finiti in gran parte agli atti dell’inchiesta su Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm al centro della vicenda che ha fatto tremare il mondo della magistratura. Proprio durante l’udienza preliminare del processo a Palamara, la procura di Perugia ha depositato l’atto con cui le procure di Napoli e Firenze hanno disposto l’ispezione sul server Rcs nel capoluogo campano. Ispezione che secondo quanto si apprende è stata già effettuata venerdì scorso dalla Polizia Postale e sulla quale si attende ora una relazione che dovrebbe essere depositata nei prossimi giorni.

Gli accertamenti che saranno utili per capire quali sono stati i passaggi su quel server. Soprattutto per quanto riguarda le registrazioni operate col trojan installato sul cellulare di Palamara: il virus spia, infatti, ha bisogno di “rimbalzi” tra più server per risultare anonimo e non consentire, al bersaglio da intercettare, di scoprire che la procura gli sta infettando il telefono.

Sul punto nell’udienza del 3 maggio scorso era stato sentito Duilio Bianchi, l’ingegnere responsabile tecnico della società milanese Rcs. Bianchi era stato chiamato in udienza preliminare dopo che davanti ai magistrati di Firenze, dove Rcs è sotto inchiesta per frode nelle pubbliche forniture, aveva dichiarato che un server delle intercettazioni dell’inchiesta Palamara era fisicamente a Napoli. Una versione che – come ha raccontato il Fatto Quotidianoè diversa rispetto a quella data nel luglio scorso dinanzi al Csm. In quell’occasione Bianchi aveva spiegato il funzionamento del trojan all’interno delle vicende disciplinari legate al caso Palamara che riguardano il magistrato e parlamentare Cosimo Ferri: è stato proprio un trojan Rcs, infatti, a registrare le conversazioni tra Ferri, Palamara e Luca Lotti, la notte tra l’8 e il 9 maggio all’hotel Champagne di Roma, mentre discutevano del futuro apo della procura di Roma. Dunque Bianchi ha confermato quanto sostenuto dall’avvocato in sede disciplinare di Cosimo Ferri, Luigi Panella, che dopo aver disposto delle perizie tecniche ha fatto una scoperta: i dati del trojan, prima di giungere al server installato nella Procura di Roma, transitavano da un server installato nella procura di Napoli.

Un server del quale nessuno fino ad allora conosceva l’esistenza. Ora il dubbio è che sia stato violata una norma di procedura penale, visto che la procura di Perugia aveva autorizzato le attività soltanto sul server romano. Nella prossima udienza, fissata per il prossimo 27 maggio, davanti al gup Piercarlo Frabotta è in programma l’audizione degli esperti della Polizia Postale che hanno eseguito gli accertamenti sul server a Napoli. Dal decreto di ispezione emerge che ci sono altri tre indagati, oltre Duilio Bianchi. Accesso abusivo a sistema informatico e frode nelle pubbliche forniture sono le accuse che i pm di Napoli muovono all’ingegnere Bianchi responsabile tecnico, e ad altri tre dirigenti della società. Solo due di loro invece, tra cui Bianchi, sono indagati dalla procura di Firenze. Per Bianchi le accuse sono di frode nelle pubbliche forniture, falso e falsa testimonianza.

Secondo quanto si legge nel decreto di ispezione, la società Rcs spa ”forniva alla Procura della Repubblica di Napoli un documento descrittivo dell’architettura di sistema dei server e degli standard adottati, che tuttavia appaiono difformi rispetto a quelli emersi dalle indagini svolte; inoltre, sulla base degli accertamenti svolti e dei documenti allo stato acquisiti non risultano effettuate comunicazioni alla procura di Napoli, né in merito alle attività di azione degli impianti né in ordine all’effettiva architettura dei sistemi né, infine, quanto alla concreta modalità di funzionamento dei sistemi, in particolare in merito alla trasmissione e memorizza azione dei dati dei captatori, così come emergenti dalle risultanze istruttorie”.

Secondo i pm di Napoli e Firenze, l’ispezione “appare allo stato l’unica procedura in grado di assicurare le esigenze probatorie salvaguardando le attività di intercettazione disposta dall’autorità giudiziaria, poiché qualsiasi altra modalità di accertamento comportando lo spegnimento degli apparati di intercettazione, determinerebbe un irrimediabile pregiudizio per le attività di intercettazione in corso, disposte anche da altri uffici di procura”. L’ispezione “della sala e degli impianti installati dalla società Rcs Spa presso gli uffici della procura di Napoli” è stata disposta al fine di “descrivere l’architettura e le modalità di funzionamento dei server e le piattaforme hardware e software di gestione; individuare e descrivere le funzioni dei server, indicare i tempi di ricezione, ricomposizione dei dati su vari server e i tempi di cancellazione dei dati dopo la trasmissione ai server Ivs; verificare l’esistenza e funzionamento del server Hdm specificando le modalità, i tempi di trasmissione, ed eventuale memorizzazione, ricomposizione e successiva cancellazione dei dati, ove tuttora attivo”. Con questo accertamento si punta anche a “descrivere, se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi, alterati o rimossi, lo stato attuale e, in quanto possibile, verificare quello preesistente” e accertare se “risultino tracce del captatore informatico inoculato su disposizione della procura della Repubblica di Perugia”.

“Dal decreto di ispezione emergono inquietanti conferme. La Polizia Postale ha iniziato i propri accertamenti lo scorso venerdì. Nel decreto di ispezione si afferma chiaramente che Rcs abbia contravvenuto alle regole dettate dalla Procura di Napoli ignara del server centralizzato di proprietà privata per la gestione delle intercettazioni di tutte le procure italiane”, dice all’agenzia Adnkronos l’avvocato Benedetto Buratti che, insieme a Roberto Rampioni e Mariano Buratti, difende Palamara.

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