Entro il 2030 l’Italia potrebbe essere in grado di aggiungere 70 GigaWatt di potenza da fotovoltaico ed eolico, ma gli strumenti predisposti dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sono insufficienti. Lo confermano le schede tecniche: si punta a superare gli ostacoli burocratici, ma manca una strategia per creare una nuova filiera di imprese, sono pochi gli obiettivi tradotti in GW e molto si lascia al mercato, con incentivi troppo deboli per diventare politiche di sviluppo. Nel frattempo, agli impianti servono componenti e tecnologie, molte delle quali oggi si reperiscono in Cina e Stati Uniti. E mentre il mercato esplode e le grandi multinazionali fanno fatica a fare fronte alla domanda, questa è una dipendenza che non possiamo permetterci. Sono le vere barriere, più del consumo di suolo o dell’intermittenza tipica delle rinnovabili, per i quali esistono diverse soluzioni che vanno combinate. “Lo stesso piano ci dice che, con l’attuale sistema amministrativo e burocratico, per raggiungere i target occorrerebbero 100 anni per il fotovoltaico e 25 per l’eolico” spiega a ilfattoquotidiano.it Massimo Mazzer (Cnr-Imem), referente italiano nell’Implementation Working Group sul fotovoltaico del SET Plan Europeo, secondo cui “se su questo fronte il Pnrr indica la direzione giusta, non disegna invece la strategia per centrare gli obiettivi”.

LA SFIDA – La quota FER (Fonti Energia Rinnovabile) sui consumi elettrici finali lordi al 2030 oggi è al 35% circa, con un ritmo di installazione di 0.8 GW all’anno. Il Piano nazionale integrato Energia e Clima (Pniec) imponeva di arrivare al 55%, ma i nuovi obiettivi di decarbonizzazione che, per quanto poco ambiziosi, puntano a ridurre del 55% le emissioni climalteranti nel 2030, ci obbligano ad alzare il target della quota FER al 72%. Servono 70 GW prevalentemente da fotovoltaico ed eolico, che complessivamente oggi sono a quota 32 (su un totale di 120 GW già installati), riducendo gradualmente la potenza termoelettrica in esercizio (oggi a 65 GW). Ma l’esperto avverte: “Per compensare 1 GW di potenza termoelettrica, servono 2,5 GW da fotovoltaico o 1,6 GW da eolico”. Di fatto, per il fotovoltaico si dovrà passare dagli attuali 21 a 52 GW nel 2030 e, per l’eolico, da 11 a circa 20 GW. Ma dal 2014 le Fer hanno smesso di crescere come prima. Nel 2019 la nuova potenza installata è stata di 1,2 GW. Nel 2020 è andata peggio.

I CONTI NON TORNANO – Matteo Leonardi, direttore esecutivo del think tank ECCO fa notare che “l’Italia dovrebbe incrementare di 6 GW all’anno la potenza rinnovabile – spiega a ilfattoquotidiano.it – ma nel Pnrr si prevedono risorse per circa 4,2 GW per tutta la durata del piano e prevalentemente per comunità energetiche e agrivoltaico, pur non prevedendo riforme su regolazione e fiscalità energetica”. Il governo parla di una strategia per superare le difficoltà autorizzative per gli impianti di medie e grandi dimensioni, rivedere la disciplina per il rilascio dei permessi e semplificare le procedure di Via, “ma la riforma delle autorizzazione sembra voler favorire le centrali a gas e il loro accesso al capacity market” aggiunge Leonardi.

L’AGRIVOLTAICO E COMUNITÀ ENERGETICHE – Nel Pnrr si prevede un investimento di 1,1 miliardi per promuovere l’installazione di impianti agro-voltaici con una capacità produttiva di 2 GW. “Si tratta di un progetto non ancora supportato da un’adeguata analisi del rapporto costi/benefici” spiega Mazzer. Sotto l’etichetta “agrivoltaico” sono comprese tecnologie molto diverse: “Dai moduli semi-trasparenti sui tetti delle serre, alle fattorie fotovoltaiche, fino ai più problematici ‘filari’ fotovoltaici in cui i moduli sono orientati verticalmente per consentire il passaggio dei mezzi agricoli. Senza regole adeguate, c’è il rischio di attività speculative”. Nei fondi della Missione 2 dedicati all’agricoltura, poi, c’è un investimento da 1,5 miliardi sull’Agrisolare per incentivare l’installazione di pannelli e la rimozione dei tetti di eternit e amianto. Parliamo, però, di 0,43 GW. Altri 2,2 miliardi sono destinati al sostegno alle comunità energetiche (a cui vanno 1.600 milioni) e alle strutture collettive di autoproduzione. Previsione: almeno 2 GW in più. L’investimento è indirizzato a pubbliche amministrazioni, famiglie e microimprese in Comuni con meno di 5mila abitanti. Per il presidente del Coordinamento Free, Livio De Santoli “occorrerebbe includere aree industriali e periferie delle metropoli”. “Per ottenere quote più elevate di autoconsumo energetico – aggiunge il governo – queste configurazioni si possono combinare a sistemi di accumulo di energia” che danno la possibilità di stoccare l’energia nelle ore di punta e utilizzarla quando serve. Ma nel piano si prevede la spesa di un miliardo, da dividere con tutto il comparto dello sviluppo delle tecnologie rinnovabili.

GLI IMPIANTI INNOVATIVI – Tra i temi sul tavolo, anche quello del consumo di suolo. Per l’incremento dell’eolico si punta sull’off-shore nel Mediterraneo (anche se non ci sono indicazioni precise su come arrivare a 20 GW, ndr) perché, spiega Massimo Mazzer, “il potenziale di generazione è significativo” e perché “significa ridurre il consumo di suolo, evitando tensioni con le comunità locali”. Il Pnrr prevede anche un investimento di 680 milioni di euro per sostenere sistemi di generazione di energia rinnovabile off-shore. L’idea è quella di utilizzare piattaforme offshore in grado di ospitare molteplici tecnologie (anche quelle che sfruttano il moto ondoso) integrando sistemi di accumulo. E poiché, si spiega nelle schede, “le centrali offshore in Italia devono adattarsi alle peculiarità delle coste del Mediterraneo e alle diverse profondità dei fondali rispetto al Nord Europa” si conta sul riutilizzo di infrastrutture esistenti “come quelle portuali o le piattaforme oil & gas da dismettere” e sulla combinazione di più tecnologie innovative, per bilanciare i costi, migliorare la redditività dell’investimento e ridurre i tempi autorizzativi. Tanta innovazione con cui, però, si arriverebbe nei prossimi anni a una potenza installata di 200 MW. “Praticamente un unico grande impianto” spiega De Santoli. “Si tratta di una capacità irrisoria – aggiunge Mazzer – rispetto a progetti già in fase esecutiva per un totale di circa 15 GW”.

IL REPOWERING – “La priorità è raggiungere soprattutto quei 50 GW in più di potenza da fotovoltaico. Serve una combinazione di soluzioni” spiega Mazzer, che intravede una possibilità nel repowering di impianti installati tra il 2010 e il 2014. “Quei moduli fotovoltaici trasformano in energia elettrica il 17% dell’energia solare – spiega l’esperto del Cnr – ma i moduli attuali arrivano al 22%. Sostituendoli si possono recuperare 5-6 GW”. C’è un deterrente: “Cambiando i moduli, quegli impianti perderebbero gli incentivi”. Tra l’altro, la performance si può ancora migliorare sostituendo le celle oggi utilizzate a base di silicio con un’efficienza massima del 28% (ma la media è del 22-24%) con le celle solari ‘tandem’ la cui efficienza può superare il 30%.

FOTOVOLTAICO DOVE – Per quanto riguarda le soluzioni “nel piano si fa riferimento ai tetti delle aziende agricole per 4,3 chilometri quadrati – aggiunge Leonardi – dimenticando i 9mila metri quadrati di aree industriali utilizzabili. Capannoni industriali, aree dismesse e terreni degradati non vengono presi in considerazione”. In una lettera pubblicata su Nature, Massimo Mazzer e David Moser, responsabile del gruppo di ricerca sistemi fotovoltaici di Eurac, stimano che il Pniec, una volta adeguato, prevederà un livello di generazione elettrica da fotovoltaico da 100 TWh (quattro volte quello attuale, che è a 24 TWh). “C’è chi spinge per gli impianti a terra, come è stato fatto tra il 2010 e 2014. Abbiamo occupato l’8% del suolo disponibile – spiega Mazzer – e, se tutto il fotovoltaico necessario fosse installato a terra, si occuperebbe il 5% di quella parte, circa mille chilometri quadrati”. Ergo: “Non si tratta, dunque, di ricoprire l’Italia, ma comunque non ha senso installarlo tutto a terra”. I due esperti calcolano che utilizzando il 2,5% della superficie ricoperta da edifici, si possono generare circa 50TWh all’anno, il 50% dell’obiettivo nazionale. Serve però una filiera nuova fatta di imprese che si occupano di progettazione integrata degli edifici. “Nel Pnrr ci aspettavamo riferimenti espliciti che mancano – commenta l’esperto – eppure si creerebbe molta più occupazione rispetto al mega impianto a terra, dove la maggior parte del lavoro viene fatto fuori Italia con i moduli provenienti dalla Cina”. In Italia la produzione di moduli progettati per infrastrutture ed edifici è allo stadio pre-industriale. “D’altro canto – commenta Leonardi – nella parte di piano dedicata all’industria non c’è una voce per l’energia e non si può produrre energia senza l’industria”.

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