Associazione di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, corruzione, estorsione, intestazione fittizia di beni, rivelazione di segreti d’ufficio e turbativa d’asta. Sono i reati contestati agli indagati nell’ambito dell’operazione “Alibante”. Diciannove persone a cui i carabinieri hanno notificato una misura cautelare, disposta dal gip e chiesta dalla Dda, nei comuni di Lamezia Terme, Nocera Terinese, Falerna e Conflenti, in provincia di Catanzaro, e nelle città di Aosta, Arezzo e Cosenza. Sette le persone finite in carcere, dieci ai domiciliari, mentre due sono state raggiunte da misure interdittive del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione. Nel mirino il clan dei Bagalà, che opera dagli anni Ottanta sulla costiera calabrese compresa tra Nocera Terinese e Falerna, ed è capeggiato dal presunto boss Carmelo Bagalà, 80 anni.

L’operazione è partita in seguito alle denunce di estorsione da parte di molti imprenditori lametini. Per la Dda di Catanzaro, la “mente legale” della cosca di ‘ndrangheta era in Valle d’Aosta, e si tratta dell’avvocata 52enne Maria Rita Bagalà, figlia del presunto boss, finita agli arresti domiciliari. Per il gip di Catanzaro Matteo Ferrante, nell’ordinanza di custodia cautelare c’è scritto che “sotto la regia del padre Carmelo Bagalà, l’avvocata Maria Rita Bagalà partecipava alla cosca garantendo l’amministrazione dei diversi affari illeciti, oltre ad essere la mente legale del clan che curava gli interessi economici e finanziari del sodalizio”. Per il procuratore capo Nicola Gratteri (foto) “la gestione del business criminale sulla costa tirrenica del catanzarese era un affare di famiglia”. Carmelo Bagalà, arrestato ed ora in carcere, è originario di Lamezia Terme, ma vive da anni ad Aosta. L’avvocata Maria Rita Bagalà risulta indagata per concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Secondo i carabinieri, nelle investigazioni iniziate nel 2017, in particolare, il coinvolgimento di Maria Rita Bagalà riguarda due società: La “Sole Srl” e la “Calabria Turismo Srl”. Nella “Sole Srl” l’avvocata aveva assunto il ruolo di “prestanome” della società ed era l’intestataria dei beni patrimoniali e delle quote societarie della consorteria “costituenti il provento illecito delle varie attività delittuose del clan”. Per la “Calabria Turismo Srl”, Maria Rita Bagalà era amministratrice, ma operava in maniera occulta. Ma la vera sorpresa è un’altra. Per gli inquirenti, nell’ambito della stessa inchiesta, è indagato anche il marito Andrea Giunti, noto avvocato di Aosta e molto legato all’ex presidente della Regione Augusto Rolladin. Per gli inquirenti Andrea Giunti “non solo era a conoscenza dei fatti, ma amministrava in prima persona e in maniera occulta, assieme a lei e al suocero, le attività della “Calabria Turismo Srl”, società interdetta per mafia nel 2016”.

Per l’accusa, i due coniugi erano riusciti ad ottenere, indebitamente, un finanziamento pubblico di quasi 600mila euro attraverso la “Calabria Turismo Srl”. Questi soldi sarebbero serviti alla ristrutturazione dell’Hotel dei Fiori a Falerna. A seguito dell’interdittiva antimafia, il finanziamento era stato revocato. Nelle 432 pagine di ordinanza cautelare, il gip scrive come l’avvocata Bagalà ”unitamente al padre e al marito si sia impegnata nel reperimento di altre risorse economiche di dubbia provenienza, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca”. Dalle indagini emerge che Andrea Giunti, marito della Bagalà, avrebbe organizzato “operazioni di riciclaggio di denaro e usato i proventi per acquistare una discoteca a Courmayeur”. Per Giunti la procura aveva chiesto l’arresti ma il gip ha respinto perché non “raggiunge la soglia di gravità indiziaria nei suoi confronti”. Il nome di Giunti era già emerso nel settembre del 2020, quando il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra aveva stilato la lista degli “impresentabili” a pochi giorni dal voto delle amministrative, includendo anche l’ex presidente della Regione Valle d’Aosta Augusto Rollandin, condannato a 4 anni e 5 mesi per corruzione. Giunti aveva risposto a Morra, sostenendo che Rollandin era “presentabile, candidabile ed eleggibile, e d’altronde la sua candidatura è già stata posta al vaglio da parte degli organi amministrativi competenti”. L’avvocato sostenne infine che Rollandin era “solo stato sospeso nella scorsa legislatura in seguito ad una condanna che ritiene altamente ingiusta e che proprio per detto motivo ha impugnato nelle sedi competenti attendendo, come, peraltro, negli altri procedimenti che lo hanno visto sempre assolto, serenamente il relativo giudizio”.

Mentre ieri l’operazione Alibante veniva conclusa a Torino, davanti alla Corte d’appello, partiva il processo di secondo grado di “Geenna” proprio sulle infiltrazioni mafiose in Valle d’Aosta per i cinque imputati che avevano scelto il rito ordinario: il ristoratore Antonio detto “Tonino” Raso (condannato a 13 anni il 16 Settembre dal Tribunale di Aosta), l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, il dipendente del Casinò di Saint-Vincent Alessandro Giachino (11 anni), l’ex consigliere regionale Marco Sorbara (11 anni), e l’ex Assessore alle finanze del comune di Saint-Pierre Monica Carcea (10 anni).

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