Le parole sono state chiare e forti. Sarà stata la cornice – un convegno del Silp-Cgil a quarant’anni dalla smilitarizzazione della Polizia di Stato tenuto qualche giorno fa, il 17 aprile – ma di certo la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese nel suo intervento non ha girato intorno alla questione dell’azzeramento dell’ex Corpo forestale dello Stato: “Io l’ho vissuta quella vicenda”, ha detto la prefetta. “Fu una scelta politica e anche l’amministrazione dell’Interno sbagliò”, ha aggiunto, mettendo il dito in un punto dolente, “perché sarebbe stato naturale che una forza civile venisse accolta” dal Viminale, se proprio era necessaria una riorganizzazione. Concede solo una attenuante: la parcellizzazione del Corpo, il suo sparpagliamento sul territorio poteva far pensare che sarebbe stato più facile l’assorbimento da parte dei Carabinieri distribuiti anch’essi in una miriade di stazioni (4500) in tutto il Paese.

Argomento non centrale, il cuore della vicenda è lì dove lo ha collocato la ministra: perché una forza civile viene improvvisamente militarizzata? Perché rendere soldati da un giorno all’altro – letteralmente – gli addetti alla tutela dei nostri Parchi e di ogni centimetro di territorio boschivo così esteso nella Penisola? Nello stessa occasione anche il segretario della Silp- Cgil Daniele Tissone, parlando dell’esiguità delle forze di Polizia e del peso lavorativo per gli uomini e le donne che la compongono, ha fatto esplicito riferimento alla “militarizzazione di una forza di specialisti nella difesa dei territori, trasformata in forza armata con la conseguente perdita di diritti sindacali”. Qui c’è un punto debole di quella pseudo-riforma voluta dal governo Renzi nel 2016, appunto la improvvisa cancellazione delle libertà sindacali per gli ex Forestali divenuti di punto in bianco militi dell’Arma. La delicata questione è all’ordine del giorno della Corte dei diritti di Strasburgo dove si sono rivolti circa 1500 ex Agenti forestali, rappresentati dagli avvocati Ascanio Amenduni e Egidio Lizza. Chiedono il riconoscimento dei loro diritti e per ora l’Avvocatura dello Stato ha proposto una conciliazione riconoscendo la violazione e offrendo circa 2000 euro a testa di risarcimento, proposta respinta dagli interessati. La battaglia continua.

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