Una sentenza “ideologica” che “deve ritenersi erronea”. Così il ministero della Transizione ecologica, attraverso l’Avvocatura dello Stato, ha definito la sentenza del Tar di Lecce che lo scorso 13 febbraio aveva ordinato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto entro 60 giorni perché responsabile dello “stato di grave pericolo” in cui vivono i cittadini a causa del “sempre più frequente ripetersi di emissioni nocive ricollegabili direttamente all’attività del siderurgico”. Il ministero guidato da Roberto Cingolani ha depositato una memoria al Consiglio di Stato che il 13 maggio prossimo dovrà decidere se confermare o meno lo stop alle attività produttive dello stabilimento.

In questo documento, affiancandosi al ricorso di ArcelorMittal, il ministero ha chiesto al massimo organo della giustizia amministrativa di annullare la sentenza dei giudici salentini sostenendo che i magistrati del Tar leccese hanno messo in campo “un abnorme esercizio del potere giurisdizionale che finisce per debordare dai limiti stessi della giurisdizione di legittimità”. L’accusa, infatti, è quella di essersi sostituiti ad altri poteri dello Stato: il Tar di Lecce, secondo il ministero, “esprimendo valutazioni ideologiche piuttosto che giuridiche, pur nella sede della giurisdizione di legittimità, ha inteso d’ufficio censurare le valutazioni all’Amministrazione, criticandone l’operato e sostituendosi alla stessa Amministrazione statale”. Torna quindi il leit motiv dei magistrati che si sostituiscono alla politica che, proprio a Taranto, era già stato sbandierato nel 2012 quando gli impianti furono sequestrati perché ritenuti dagli esperti “causa di malattie e morte”.

Il ministero, infatti, nell’accusa i giudici leccesi ha infatti evidenziato come la decisione sia stata sostanzialmente superficiale affermando che il Tar Lecce “senza il dovuto approfondimento tecnico e con un giudizio che assume ‘probabilistico’, sembra aver valutato, come ormai incontrovertibile un rapporto tra emissioni inquinanti e determinate patologie che, a ben vedere, sono attualmente in corso di accertamento nel processo penale ‘Ambiente svenduto’ in corso a Taranto contro i presunti colpevoli di inquinamento e che non è ancora giunto a sentenza di primo grado”. Insomma per il Ministero deve essere il processo penale a stabilire se quelle emissioni sono dannose o meno. Eppure, nella dozzina di decreti Salva Ilva, nei numerosi documenti prodotti sul proprio dal Ministero sul caso Taranto, nessuno ha mai messo in dubbio la natura dannosa di quelle emissioni, ma al massimo la responsabilità penale di chi gestiva la fabbrica in quegli anni.

Oggi, invece, il ministero della Transizione ecologica, voluto da Mario Draghi, dichiara che la decisione dei magistrati di Lecce si basa su argomentazioni “del tutto gratuite, ossia inutili ed inconferenti ai fini della decisione”. E proprio su questo punto è intervenuto il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, autore dell’ordinanza che imponeva lo spegnimento degli impianti inquinanti che ha poi dato il via al procedimento dinanzi al Tar: “Ciò che fa più male – ha dichiarato Melucci – è sentire parlare di pregiudizi ideologici, dopo anni di tavoli istituzionali e di studi scientifici indipendenti, è un insulto ai tanti che qui si ammalano, in età sempre più giovane”. Il Comune di Taranto – ha aggiunto il primo cittadino – aveva “già chiaro da tempo che l’ex Ministero dell’Ambiente non era un alleato in questa battaglia di civiltà e per la qualità della vita dei cittadini. Oggi cambia perciò poco, proviamo solo imbarazzo per chi interpreta a questa maniera le istituzioni repubblicane. E andiamo certamente avanti, se possibile persino con maggiore convinzione, sulla strada della difesa della salute dei tarantini”.

Per il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli, il ministero “invece di intervenire per riportare nella norma di legge gli sforamenti e di prevedere il monitoraggio di sostanze come naftalene e particolato Pm10 e Pm 2,5 attacca chi come il Comune di Taranto chiede il rispetto dei limiti di legge sull’inquinamento”. Il ministero guidato da Cingolani, secondo Bonelli, si iscrive così “volontariamente nel lungo elenco di negazionisti nel rapporto tra inquinamento e mortalità della città tarantina”. Il riferimento è all’ex commissario straordinario Ilva, Enrico Bondi, che nel maggio del 2014 controfirmò una memoria inviata al Tar di Lecce sostenendo “l’insussistenza di qualsiasi nesso di causalità” tra i tumori e le attività industriali dell’Ilva e che a Taranto ci si ammalava di tumore per alcool e sigarette. “Questa sciocchezza – conclude Bonelli – un vero e proprio insulto, fu messa nero su bianco”.

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