Un’alleanza tra clan camorristici, ‘ndrine calabresi e imprenditori per gestire il traffico illegale dei prodotti petroliferi. 71 misure cautelari (di cui 56 arresti) e sequestri per 1 miliardo di euro in tutta Italia. È il risultato dell’operazione “Petrolmafie spa” eseguita dai finanzieri dello Scico e dai carabinieri del Ros al termine di un lungo lavoro d’indagine che ha visto coinvolte le Dda di Reggio Calabria, Catanzaro, Napoli e Roma, coordinate dalla Procura nazionale antimafia guidata da Federico Cafiero De Raho. Gli investigatori hanno accertato l’esistenza di una “gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili”. Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha spiegato che l’indagine “dimostra la grande sinergia tra le principali mafie italiane“. Non solo, stando a un’intercettazione ambientale, gli stessi mafiosi sostengono che il petrolio “conviene più della droga“. Agli indagati sono contestate a vario titolo le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio e frode fiscale di prodotti petroliferi.

Il ruolo di “Ana Bettz” – Al centro del filone romano dell’inchiesta c’è la società petrolifera Max Petroli – ora Made Petrol Italia Srl – della famiglia Bettozzi. Agli arresti è finita Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz, cantante e vedova del petroliere Sergio Di Cesare, con l’accusa di aver evaso Iva, accise e Ires per oltre 185 milioni di euro. Secondo gli inquirenti aveva messo in piedi un’associazione a delinquere operante nel settore petrolifero per aggirare il fisco. I pm sostengono infatti che, trovandosi a gestire una società in grave crisi finanziaria, era riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di vari clan di camorra, tra cui quelli dei Moccia e dei Casalesi, che le avevano consentito di risollevare le sorti dell’impresa, aumentando in modo esponenziale il volume d’affari, passato da 9 milioni di euro a 370 milioni di euro in tre anni. Nelle carte dell’inchiesta è spuntato anche il nome dell’attore Gabriel Garko, non indagato, a cui la donna – ricostruiscono i magistrati – avrebbe corrisposto 150mila euro in contanti per uno spot pubblicitario.

Il filone napoletano: coinvolte figure apicali della Camorra – Nel filone napoletano dell’inchiesta, il procuratore di Napoli Giovanni Melillo ha spiegato che è emerso “un ruolo centrale della presenza mafiosa nel settore della commercializzazione degli idrocarburi di figure apicali dell’associazione camorristica capeggiata fra gli altri da Antonio Moccia”. L’indagine “ha dimostrato, ancora una volta la capacità di infiltrazione criminale, con la presenza sistematica, massiva, di imprese fiduciarie di associazioni mafiose in settori economici delicati e complessi come quello interessato da questa indagine, dei prodotti petroliferi” ha aggiunto. “Parliamo di una vera e propria costellazione di imprese mafiose che costituiscono una componente strutturale del mercato le quali offrono e mettono a disposizione di chi entra in rapporto con loro ingenti risorse finanziarie – ha spiegato – Soprattutto offrono una straordinaria capacità di garantire servizi illegali, come quelli rappresentati in questo caso da una rete impressionante di società cartiere, intestate a prestanomi, che hanno il compito di realizzare e utilizzare false fatturazioni che consentono poi straordinari profitti”.

Gratteri: “Indagine dimostra la grande sinergia tra le mafie italiane” – Sul versante delle indagini sulla ‘ndrangheta, l’inchiesta, avviata nel giugno 2018 dalla Dda di Catanzaro quale prosecuzione dell’operazione “Rinascita-Scott“, si è incentrata sulle figure di alcuni imprenditori vibonesi, attivi nel settore del commercio di carburanti, ritenuti espressione della cosca Mancuso di Limbadi, e collegati alle articolazioni Bonavota, Anello e Piscopisani nel vibonese e Piromalli, Italiano e Pelle nel reggino. Sono stati accertati due sistemi di frode, riguardanti il commercio del gasolio, attraverso il coinvolgimento di 12 società, 5 depositi di carburante e 37 distributori stradali, elaborati, organizzati e messi in atto proprio dagli indagati. Oltre all’evasione dell’Iva e delle accise su prodotti petroliferi, l’associazione avrebbe commesso innumerevoli reati fiscali ed economici. La prima tipologia di frode consisteva nell’importazione, perlopiù dall’est-Europa, di prodotti petroliferi artefatti e oli lubrificanti, successivamente immessi in commercio come gasolio per autotrazione.

“Le mafie non hanno steccati né procedure da rispettare, ma sono presenti dove c’è da gestire denaro e potere. Questa indagine dimostra la grande sinergia tra le principali mafie italiane“, ha commentato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della videoconferenza con i procuratori di Napoli, Giovanni Melillo, di Roma Michele Prestipino, di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri. “Quasi contemporaneamente quattro procure si sono trovate a indagare sullo stesso oggetto, quello dei petroli – ha spiegato Gratteri – e da un’intercettazione ambientale si dice ‘ci sta fruttando più della droga‘. Quattro procuratori che hanno lavorato insieme e in maniera determinata per arrivare a un risultato”.

Un’indagine, ha aggiunto Gratteri, che nasce “da Scott 2, è uno degli aspetti del riciclaggio della famiglia Mancuso di Limbadi. Una cosa che mi ha colpito è la riunione nel gennaio 2019 a Vibo Valentia in un’osteria: l’imprenditore D’Amico che ha un grosso deposito di carburanti ha incontrato un rappresentante di un’impresa estrattiva del Kazakistan, arrivato con una interprete a Lamezia Terme accompagnato da due broker, arrestati questa notte a Milano, con l’obiettivo di far arrivare petrolio a Vibo Valentia. In questa riunione alla presenza di esponenti delle cosche locali si è discusso di creare una boa nel porto di Vibo Valentia per fare attraccare le petroliere e con un tubo far arrivare nei depositi dell’imprenditore il petrolio“.

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