Per questa volta la Commissione “ha preferito dare priorità alle questioni di sostanza rispetto al protocollo”, ma assicura che “saranno presi contatti con tutte le parti coinvolte perché non si ripeta in futuro“. Il giorno dopo la visita di Ursula von der Leyen e Charles Michel ad Ankara, dove hanno incontrato il presidente Recep Tayyip Erdoğan al palazzo presidenziale, è diventato un caso diplomatico il comportamento dell’organizzazione turca che nel salone dove è avvenuto l’incontro ha fatto trovare solo due sedie, una per il capo di Stato e l’altra per il presidente del Consiglio Ue, lasciando la presidente della Commissione in disparte, su un divano. Una situazione che, spiega il portavoce di Palazzo Berlaymont, Eric Mamer, ha lasciato “sorpresa” von der Leyen, “lo si vede dal video”. La Commissione, ha aggiunto, “si aspetta di essere trattata secondo il protocollo adeguato”.

Nessuna particolare anomalia nella preparazione della trasferta in Turchia dei due presidenti Ue che possa giustificare ciò che è accaduto, puntualizza inoltre Mamer: “La visita è stata preparata usando i canali abituali per questo genere di visite e con l’implicazione della nostra delegazione ad Ankara, mentre il servizio del protocollo della Commissione non ha partecipato al viaggio per il Covid”.

Il sofagate, come è già stato ribattezzato, ha provocato la reazione dei gruppi parlamentari a Bruxelles. Il Ppe ha attaccato Ankara dicendo che “qualcuno dovrebbe vergognarsi per la mancanza di un posto adeguato per von der Leyen nel palazzo di Erdoğan. L’Ue ha segnalato l’apertura al dialogo, ma siamo fermi sui nostri valori. Le donne meritano lo stesso riconoscimento dei loro colleghi maschi”, si legge sul profilo Twitter ufficiale. Toni simili a quelli usati dai Socialisti: “Prima si ritirano dalla Convenzione di Istanbul e ora lasciano la presidente della Commissione europea senza una sedia nel corso della visita ufficiale. Vergognoso”.

Non è la prima volta, però, che il presidente viene criticato per le sue posizioni sui diritti delle donne. Aveva fatto molto discutere il discorso tenuto dalla figlia del Sultano, Sümeyye Erdogan, nel corso di una conferenza a Bruxelles nell’aprile 2015, quando aveva dichiarato: “Che le donne ricevano una quota più bassa di eredità rispetto agli uomini è una cosa normale e giusta, considerando le responsabilità che gravano sulle spalle degli uomini secondo l’Islam”. Parlando all’evento La percezione delle donne musulmane di tutto il mondo e la lotta per l’uguaglianza, l’allora 30enne esponente dell’AkParti aveva aggiunto che “si discute sul perché alle figlie vengano date quote inferiori di eredità rispetto ai maschi. Ma quando si approfondisce vediamo che per l’Islam sono gli uomini a dover portare il pane a casa, non le donne. È quindi giusto ed equo che i maschi ricevano più soldi e proprietà”.

Un anno dopo anche la first lady del Bosforo, Emine Erdoğan, all’indomani della festa della donna, quando aveva detto di considerare “la donna prima di tutto come madre”, era tornata a far parlare di sé affermando in un discorso pubblico che durante l’impero ottomano l’harem era “una scuola per preparare le donne alla vita”.

E poche settimane fa, il 20 marzo, è stato lo stesso presidente a mettere la faccia su un decreto che ha sancito l’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul del 2011 contro la violenza sulle donne che obbliga i governi che vi hanno aderito ad adottare una legislazione che contrasta la violenza domestica e gli abusi, come la violenza coniugale e le mutilazioni genitali femminili. Secondo i conservatori legati al presidente, il provvedimento mina l’unità familiare, incoraggiando il divorzio e dando spazio alla comunità Lgbt per essere maggiormente accettata nella società. Decisione, quest’ultima, che ha scatenato le reazioni del Consiglio d’Europa e delle principali organizzazioni impegnate a combattere la violenza di genere.

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