“Dopo dieci anni di notti come medico di guardia e poche possibilità di crescere professionalmente, ho deciso di provare a dare alla mia famiglia quel futuro sereno che l’Italia non sembra poter più garantire”. Margherita Giuliodori, classe 1974, medico specializzato in Malattie Infettive con una formazione specialistica in Medicina Generale, oggi è medico di famiglia ad Esbjerg (Danimarca) dove si è trasferita nel 2016 insieme a suo marito Giacomo, ingegnere informatico, e i loro tre figli.

Originaria di Osimo, nelle Marche, regione “alla quale siamo molto legati”, Margherita ha affrontato una scelta difficile come quella di dover crescere i propri figli fuori dal proprio Paese. “Ero stanca di fare le notti, stanca di dover aspettare un’assegnazione come medico di famiglia che non sapevo quando e se sarebbe arrivata – racconta -. Mio marito aveva cessato la sua attività e non riusciva a trovare lavoro perché in Italia è difficile anche per un ingegnere, mentre qui in poco tempo ha trovato il lavoro dei suoi sogni”. L’idea era quella di restare dentro i confini europei. “Abbiamo valutato anche l’Inghilterra, l’Irlanda e la Svezia, poi nel 2015 ho partecipato ad un incontro di recruiting al Politecnico di Ancona per un’agenzia che cercava personale medico per la Danimarca e abbiamo capito che sarebbe potuto essere il posto giusto”. Dai colloqui, via skype e in presenza, si poteva già capire la differenza di passo: “Mio marito partecipò ad entrambi perché chi ci stava dando questa opportunità voleva capire se c’era la possibilità di trasferire tutta la famiglia”. Lo scoglio linguistico non è stato certo una passeggiata ma il programma garantiva dal primo mese, sia per lei che per suo marito, uno stipendio solo per studiare il danese. “I primi dieci mesi li abbiamo passati ad imparare la lingua ed io venivo pagata come un medico”, sottolinea Margherita.

La sanità è gratuita in Danimarca, ma la figura del medico di famiglia ha delle differenze sostanziali rispetto l’Italia. “Qui sono a tutti gli effetti una libera professionista – afferma Margherita – abbiamo un 30% di pazienti garantiti dalla Regione e il resto sono rimborsi a prestazione. Non ho l’obbligo di reperibilità come in Italia, lavoro otto ore al giorno, cinque giorni su sette e alle 16 stacco perché qui si lascia molto tempo da dedicare alla famiglia”. La serenità familiare è quasi un dogma, la Danimarca è stata premiata dall’Ocse come miglior Paese al mondo dove crescere una famiglia, e il secondo pilastro incentrato sull’aspetto educativo: “I bambini sono stimolati fin dall’asilo a sentirsi parte della comunità e membri attivi della società. Ad esempio a scuola sono gli studenti a pulire e a prendersi cura degli spazi comuni, non è qualcun altro ad occuparsene”. Servizi efficienti che hanno un prezzo: “Il costo della vita è quasi il doppio di quello italiano – conferma Margherita – però è ampiamente compensato dai redditi che sono quasi tre volte quelli del nostro Paese. In Italia con tre figli piccoli arrivavamo con difficoltà alla fine del mese, anche con il mio stipendio da medico, mentre qui in pochi anni abbiamo comprato casa”.

Anche dal punto di vista sanitario le cose sono diverse. “Qui non è prevista la figura del pediatra, sono i medici di famiglia che devono espletare questa funzione, così come le visite ginecologiche non specialistiche. Una parte della giornata, poi, è dedicata alle emergenze e sono i medici di famiglia che decidono, casi gravi a parte, se un paziente deve o non deve andare in pronto soccorso”. Con un conseguente alleggerimento del sistema ospedaliero. “Durante l’inizio dell’emergenza Covid la Danimarca, oltre ad un primo lockdown di un mese, dove si è fatto di tutto per riaprire velocemente le scuole a differenza dell’Italia, ha investito molto nel tracciamento con una capillare campagna in cui in 2-3 giorni veniva data la risposta dei tamponi – ricorda -. Riguardo la campagna vaccinale, invece, anche qui si sono registrati dei rallentamenti con il 6.7% della popolazione vaccinata con due dosi e il 12% con una”. Il Paese scandinavo è stato il primo a sospendere in via precauzionale il vaccino AstraZeneca, prorogando lo stop fino al 18 aprile.

“Noi medici di famiglia abbiamo vaccinato gli anziani nelle rsa e indicato i pazienti fragili da inserire nelle liste, per il resto sono i centri vaccinali che si occupano di tutto”.

Il legame con il nostro Paese, anche dopo anni, rimane saldo. “Stiamo crescendo i nostri figli come bilingue, torniamo sempre quando possiamo nella nostra Osimo e dobbiamo ringraziare l’Italia per la formazione teorica universitaria che è stata molto apprezzata qui – afferma Margherita –. Però vanno evidenziati anche i lati negativi e tra questi, nel mio campo, due su tutti: poca esperienza pratica per gli studenti di Medicina e troppo tempo dedicato alla burocrazia”. E non solo per esperienza diretta: “Sono in contatto con i miei colleghi italiani e molti di loro sono costantemente invasi dalla carta, mentre qui facciamo tutto in via telematica e i pazienti vengono davvero per essere curati o per una diagnosi – afferma –. Inoltre gli specializzandi hanno da subito uno stipendio da medico che gli permette di creare una famiglia prima dei trent’anni quando da noi non ci riescono neanche dopo”. Benché cambiare Paese generi sicuramente un grande stress, soprattutto quando non si è soli, per Margherita “aver trovato una gratificazione professionale e un’aspettativa più serena per il futuro dei nostri figli ha allontanato la possibilità di rientrare in Italia nel prossimo futuro. Con la speranza, però, che le cose possano migliorare per le future generazioni”.

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