L’Italia detiene il record in Europa per prelievi di acqua a uso potabile (oltre 9 miliardi di metri cubi all’anno, ossia 419 litri per abitante al giorno) ed è considerata un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. Un trend che preoccupa, perché accompagnato a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici (come le sempre più frequenti e persistenti siccità) e che mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola. Ad aggravare la situazione ci sono l’annoso problema delle perdite lungo la rete, i nodi irrisolti sulla depurazione e, soprattutto al Sud, una significativa mancanza di conoscenze sullo stato delle acque.

Nella Giornata mondiale dell’Acqua istituita dall’Onu, Legambiente richiama l’attenzione “sull’importanza di una gestione equa, razionale e sostenibile di questa fondamentale risorsa”. In particolare di quella potabile, su cui quest’anno c’è un’importante novità normativa: l’entrata in vigore, il 12 gennaio scorso, della direttiva europea 2020/2184 sulle acque destinate al consumo umano che gli Stati membri dovranno recepire entro il 2023. E sul tema dell’acqua interviene anche Confagricoltura, sostenendo che il settore ha ridotto, negli ultimi decenni, di quasi il 30% il consumo idrico “impegnandosi ad adottare modelli sostenibili di gestione, come l’irrigazione di precisione”. Ma non basta. Anche secondo Confagricoltura occorre mettere mano con urgenza all’intera rete idrica nazionale “che dopo trent’anni di abbandono è in pessime condizioni”.

L’OPPORTUNITÀ – Come ricorda Legambiente, l’Italia ha l’opportunità di attingere alle risorse messe a disposizione grazie al programma Next Generation Eu (Ngeu) con la presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) in preparazione proprio in queste settimane. “Bisogna innanzitutto evitare quanto fatto nella prima versione del Pnrr che presenta un netto sbilanciamento delle risorse a favore di alcune tipologie di interventi” dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, secondo cui sono “sproporzionati i 4,4 miliardi di euro destinati agli invasi, contro i 900 milioni per l’ammodernamento delle reti cittadine di distribuzione dell’acqua (spesso ridotte a un colabrodo) e i 600 milioni di euro per le fognature e gli impianti di depurazione”. Eppure la condanna della Corte di giustizia europea sul mancato trattamento delle acque reflue, costa all’Italia decine di milioni di euro. Rispetto alla direttiva, secondo Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente “l’Italia deve recepire la nuova normativa europea in maniera rapida e virtuosa”. La direttiva introduce limiti più stringenti per alcuni contaminanti, nuove sostanze da monitorare come i Pfas, che in Italia hanno inquinato le acque di falda nelle province di Vicenza, Verona e Padova “e – spiega Minutolo – una lista di controllo degli inquinanti da tenere sotto osservazione, tra cui le microplastiche, prevedendo inoltre la promozione dell’acqua di rubinetto per limitare il consumo di quella imbottigliata, un primato, anch’esso tutto italiano, in Europa”.

ACQUA IN CITTÀ, I DATI DEL DOSSIER – I dati raccontano raccontano di un gap tra acqua immessa nelle reti di distribuzione e acqua effettivamente erogata che va da una media del 26% nei capoluoghi del Nord al 34% in quelli del Centro Italia, fino al 46% nei capoluoghi del Mezzogiorno. Nel complesso, fino al 78% dell’acqua distribuita nelle città italiane può andare ‘sprecata’ tramite le perdite nella rete di distribuzione, come nel caso di Frosinone. Tra le città metropolitane, dal 2014 al 2019 soltanto Bologna, Firenze, Milano e Torino si sono mantenute sotto il dato medio nazionale del 37%. C’è ancora molto da fare in città come Bari, Cagliari e Roma, costantemente rimaste al di sopra della media. Nel 2019, i consumi medi pro-capite di acqua nelle città capoluogo italiane non sono scesi sotto i 100 litri per abitante al giorno: tra quelle meno virtuose troviamo Milano e Reggio Calabria (entrambe oltre i 170 litri), mentre i consumi più contenuti si registrano a Palermo e Napoli (rispettivamente 111 e 114 litri). Preoccupano le elevate percentuali dei ‘non classificato’: risultano sconosciuti (per il quinquennio 2010-2015) lo stato chimico del 17% e quello quantitativo del 25% delle acque sotterranee, lo stato chimico del 18% dei fiumi e del 42% dei laghi italiani. Non ancora monitorato e classificato lo stato ecologico del 16% dei fiumi e del 41% dei laghi. Questa scarsità di informazioni di base si registra soprattutto al Sud, dove alcune regioni presentano più della metà dei corpi idrici in stato sconosciuto (raggiungendo in alcuni casi, come Calabria e Basilicata, anche il 100%).

LE AREE PIÙ CRITICHE – Sempre più rilevanti le criticità legate alla disponibilità della risorsa idrica in regioni dove sussistono carenze gestionali e strutturali, cui si sommano gli effetti dei cambiamenti climatici. Secondo dati Istat, le misure di razionamento dell’acqua per l’uso domestico messe in atto nel 2019 hanno interessato nove città italiane, principalmente in Calabria, Campania, Abruzzo, Sardegna e Sicilia, dove in alcuni centri urbani la loro attuazione si rende ormai necessaria tutti gli anni da oltre un decennio. Oltre ad agire sulle perdite di rete, nota Legambiente, serve completare la rete fognaria, riqualificare gli impianti di depurazione inefficienti o sottodimensionati e costruirne di nuovi dove mancano.

LE PROCEDURE DI INFRAZIONE – Sono quattro infatti, ad oggi, le procedure di infrazione a carico dell’Italia (due delle quali già sfociate in condanna) relative alla non conformità del servizio depurativo alla Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue. Su dati del Ministero dell’Ambiente elaborati da Legambiente e aggiornati al maggio 2020, si registrano ancora 939 gli agglomerati non conformi alle direttive europee, per quasi 30 milioni di italiani interessati dai relativi disagi. Tre agglomerati su quattro in infrazione si trovano nel Mezzogiorno o nelle Isole, e generano oltre il 60% dei carichi non depurati. E finora le multe, relative solo alla prima condanna riguardante ancora 69 agglomerati, sono costate al nostro Paese oltre 77 milioni di euro.

IL NODO DEL SETTORE AGRICOLO – Non è un caso se sul tema dell’acqua interviene anche Confagricoltura. Le annate siccitose hanno creato danni per più di 15 miliardi, metà dei quali in quattro regioni: Puglia, Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna. E nei prossimi anni l’aumento delle temperature aggraverà ulteriormente la carenza idrica dell’Italia. “L’agricoltura è il settore che più risentirà della siccità – aggiunge Confagricoltura – per questo diventa sempre più importante riuscire ad accumulare l’acqua piovana, per poterla utilizzare nei momenti di carenza”.

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