Si è chiuso con un’assoluzione il processo a Torino in cui Matteo Salvini era stato chiamato a rispondere di vilipendio all’ordine giudiziario per alcune frasi pronunciate nel 2016 a Collegno durante il congresso piemontese della Lega. Il leader del Carroccio aveva associato la magistratura ad espressioni come “schifezza” e “cancro da estirpare” e il pm Emilio Gatti, oggi, aveva chiesto la condanna al pagamento di 3mila euro di multa (il massimo della pena prevista per questo reato è 5mila euro). Secondo il giudice, però, Salvini “non è punibile per la particolare tenuità del fatto“.

“Sono contento, ringrazio il giudice e il mio avvocato”, commenta il leader leghista su Twitter, aggiungendo che “la giustizia italiana va profondamente riformata” e che “il ‘sistema Palamara’ va smontato per il bene dei cittadini e dei tanti magistrati davvero liberi e indipendenti”. Il suo difensore, Claudia Eccher, parla di “pronuncia che ripristina lo stato di diritto”. Il processo si era aperto all’indomani del congresso di Collegno per iniziativa di Armando Spataro, all’epoca procuratore capo a Torino (al quale l’avvocato Eccher durante l’arringa non ha risparmiato una frecciata sulle sue polemiche con Salvini). “Edoardo Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza che è la magistratura italiana“, aveva detto il leader del Carroccio in un passaggio dedicato a un’inchiesta che riguardava il futuro viceministro leghista. Poi aveva aggiunto dell’altro: “cancro”, “lazzaroni”, “stronzi che male amministrano la giustizia”.

“Frasi di evidente natura oltraggiosa” le ha definite il pm, ricordando che “una cosa è la critica, un’altra sono le contumelie, le ingiurie, il dileggio, gli accostamenti volgari e ripugnanti“. L’avvocato Eccher ha replicato che le parole usate da Salvini “hanno perso da tempo la loro carica offensiva“. Poi ha sottolineato che quello di Salvini non era un comizio pubblico ma un discorso interno al partito: “Stava spiegando ai congressisti, in un momento di grande tensione interna, che il dibattito non doveva essere influenzato e strumentalizzato dalle notizie giornalistiche di cronaca giudiziaria. Il linguaggio era quello di chi si rivolge ai militanti: chiaro, diretto, animato da frasi prese dalla quotidianità. E’ il prodotto del cambio di paradigma nella comunicazione politica degli ultimi decenni. E non può essere censurato da un tribunale”. Il giudice, Roberto Ruscello, ha applicato la causa di non punibilità per la “tenuità del fatto”.

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