Come per il virus “principale”, rilevato negli animali domestici durante i primi mesi della pandemia, anche le varianti di Sars Cov 2 infettano cani e gatti. Uno studio su Science spiega che sono due i rapporti pubblicati questa che dimostrano come i “pets” possano essere infettati dalla variante inglese (B.1.1.7) che su gli umani ha dimostrato più trasmissibilità e recentemente, come spiegato in due studi su Nature e British Medical Journal, più letalità. Come è noto la variante cosiddetta inglese, in quanto sequenziata la prima volta nel Kent ormai mesi fa, è stato identificato per la prima volta nel Regno Unito ed è lì che alcuni animali domestici sono stati infettati. I “pets” hanno sofferto di miocardite, un’infiammazione del tessuto cardiaco che, in casi gravi, può causare insufficienza cardiaca. Non c’è nessuna prova al momento che questa variante negli animali sia più trasmissibile o pericolosa. “È un’ipotesi interessante, ma non ci sono prove che il virus stia causando questi problemi”, afferma Scott Weese, veterinario presso l’Ontario Veterinary College dell’Università di Guelph, specializzato in malattie infettive emergenti.

Il primo caso di variante inglese in Italia è stato invece scovato due giorni fa in un gatto. A scoprirlo l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte Liguria e Valle d’Aosta su un felino maschio di 8 anni che vive nel novarese in un contesto domestico. I sintomi respiratori nel gatto sono comparsi una decina di giorni dopo l’insorgenza della malattia e l’isolamento domiciliare dei suoi padroni. “Questa diagnosi e l’identificazione della variante inglese – aveva spiegato il direttore dell’’Istituto, Angelo Ferrari – dimostrano quanto il sistema dei controlli e la gestione integrata della pandemia siano efficaci e pronti ad agire tempestivamente”. “La positività del gatto non deve generare allarmi – ha sottolineato Bartolomeo Griglio, responsabile della Prevenzione della Regione Piemonte -. A causa della malattia dei loro proprietari, gli animali d’affezione si ritrovano a vivere in ambienti a forte circolazione virale. Non è dunque inatteso che anch’essi possano contrarre l’infezione, ma non esiste evidenza scientifica sul fatto che giochino un ruolo nella diffusione del Covid-19. Il contagio interumano rimane la principale via di diffusione della malattia”. Sia l’animale che i suoi proprietari sono ora in via di guarigione. Sul piano della gestione sanitaria degli animali di pazienti infetti, la raccomandazione generale è di adottare comportamenti utili a ridurre quanto più possibile l’esposizione degli animali al contagio.

Lo studio su Science

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