“Durante la prima ondata della pandemia di Covid-19 ero in una situazione disperata: non sapendo a chi affidare mia figlia di quattro anni e mezzo, mentre io lavoravo in ospedale in piena emergenza, ho chiesto aiuto prima agli assistenti sociali e poi ai carabinieri, ma a salvarmi è stato il supporto dei colleghi e l’arrivo dei medici russi”. Oggi, a un anno di distanza, siamo punto e a capo. Solo che a salvare tutti i giorni Paola Vai, medico nucleare all’ospedale di Bergamo Papa Giovanni XXIII, questa volta è la baby sitter. Per affidare la figlia a una persona di fiducia il medico di Bergamo paga 500 euro a settimana, considerando i suoi turni e il tempo necessario per gli spostamenti. Dal 15 marzo, con la chiusura delle scuole che ha lasciato a casa 7 milioni di studenti (3,5 sotto i sei anni), significa sborsare duemila euro al mese. “Non credo che tutti possano permetterselo, oltre al fatto che non è facile trovare una persona di fiducia da un giorno all’altro. Perché questo è accaduto con la chiusura delle scuole” racconta a ilfattoquotidiano.it. E mentre in queste ore la ministra alle Pari Opportunità, Elena Bonetti, prospetta un bonus baby sitter anche per chi lavora in smart working, ad oggi il pacchetto per le famiglie varato dal Governo (con uno stanziamento di 290 milioni di euro fino al 30 giugno), prevede per i lavoratori autonomi, gli operatori sanitari e le forze dell’ordine un bonus da 100 euro a settimana, oltre che congedi parentali con indennità per chi ha figli minori di 14 anni.

ALLE PRESE CON I BONUS BABY SITTER – “Mettendo in regola la baby sitter, un’ora costa 10 o 12 euro, non di meno” spiega il medico nucleare. Lo scorso anno il Cura Italia aveva riconosciuto un bonus (poi prorogato con il decreto Rilancio) di 1.200 euro, che arrivavano a 2mila per i lavoratori essenziali, tra l’altro per il periodo tra marzo e agosto (quindi anche per i mesi estivi, in cui la chiusura della scuola è la regola e non l’eccezione). Poi è arrivato il decreto Ristori, che ha previsto un bonus di mille euro per il periodo compreso tra il 9 novembre e il 3 dicembre. “Sono fuori dal mattino alle 7.30 e torno a casa, quando va bene alle 16.30, ma spesso anche di più. Nel mio caso il bonus baby sitter di 100 euro a settimana, copre una decina di ore, appena un giorno a settimana, su cinque lavorativi” aggiunge Paola Vai. “Ma sarebbe comunque importante avere certezze a riguardo. Per quanto tempo sarà possibile usufruirne? Per quanto pochi, infatti, per me quei 400 euro al mese sono essenziali, anche se sono perfettamente consapevole che non permettono di coprire la spesa per la baby sitter alla maggior parte dei lavoratori”.

IL NODO DELLA DAD IN PRESENZA – Nei giorni scorsi, tra l’altro, è venuto fuori un pasticcio con la dad in presenza prima concessa (con il Piano Scuola 2020-2021) e poi negata ai figli dei professionisti sanitari (tra l’altro sempre più in maggioranza donne, ndr) con una circolare del ministero dell’Istruzione che ha previsto solo tre eccezioni, ossia l’uso di laboratori, alunni disabili e studenti con bisogni educativi speciali (Bes). Alcune regioni, come Lombardia e Piemonte, hanno persino emanato circolari, nelle quali si mette nero su bianco che sono esclusi i figli dei professionisti sanitari dalla possibilità di usufruire della didattica in presenza. “La verità è che fino al giorno prima della chiusura – spiega il medico – alla scuola dell’infanzia frequentata da mia figlia, non si sapeva se sarebbe stato possibile o meno portarla. Poi, alla fine, questa possibilità non si è mai concretizzata. A Brescia, invece, conosco colleghi che hanno portato i figli a scuola solo per un giorno, poi li hanno contattati chiedendo di andarli a riprendere”. Una situazione denunciata anche da Filippo Anelli, presidente di Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri.

I DUBBI SUI CONGEDI – E il congedo? È previsto per un periodo corrispondente ‘in tutto o in parte’ alla durata della sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio. “Sorvolando sull’indennità pagata al 50% della retribuzione, ancora oggi ci sono molte domande senza risposta. Conosco colleghi di ospedali impegnati in prima linea nell’emergenza legata al Covid-19 che vorrebbero più certezze sui periodi di congedo” aggiunge il medico, secondo cui non è affatto detto che il congedo risolva la situazione in un ambito così delicato come quello sanitario. “Ad oggi io stessa non potrei prendere un mese di congedo – racconta a ilfattoquotidiano.it – lasciando i miei colleghi in una situazione di totale emergenza. E non stiamo neppure lavorando in prima linea, come lo scorso anno. Io sceglierei comunque la baby sitter, trovata miracolosamente ad aprile 2020 e su cui ancora oggi posso contare solo perché sono stata previdente. Insomma, me la sono tenuta stretta, a mie spese, anche nei periodi in cui la situazione di emergenza sanitaria sembrava migliorata e anche con le scuole aperte”.

L’ODISSEA – Anche perché Paola Vai sa molto bene cosa significa trovarsi con l’acqua alla gola, senza sapere davvero a chi lasciare la figlia. “Lo scorso anno, quando si sono chiuse le scuole – racconta – ero disperata. L’ultimo giorno è stato il 23 febbraio. Dopo l’abbandono di una prima baby sitter, che avevo contattato tramite un’associazione, anche la seconda non ha potuto più venire a casa, in quanto la mamma e il padre avevano entrambi la febbre”. Solo che un anno fa ferie e permessi erano bloccati e anche i congedi prevedevano una serie di limitazioni, a causa dei turni legati alla prima ondata di Covid-19. “Eravamo tutti reclutati. Non ci si poteva assentare dal lavoro, ma non riuscivo a trovare nessuno a cui affidare la mia bambina – ricorda – così mi sono trovata in una situazione talmente disperata da decidere di rivolgermi prima ai servizi sociali, sperando che potessero trovare loro qualcuno da pagare per poter rimanere a casa con mia figlia e, poi, persino ai carabinieri. È stato un periodo davvero difficile”. Paola Vai è riuscita ad andare avanti grazie al supporto dei colleghi, ma a sbloccare la situazione è stato l’arrivo del team di 120 medici arrivati dalla Russia con destinazione l’ospedale da campo di Bergamo. Un’operazione che ha portato con sé anche una scia di polemiche, in quanto tra i professionisti inviati da Putin c’erano anche alcuni medici militari esperti in guerra batteriologica, che sarebbero stati liberi di muoversi liberamente sul nostro territorio. Di fatto quell’arrivo ha fatto sbloccare i congedi e ha permesso alla dottoressa di Bergamo di rimanere a casa con la figlia per una ventina di giorni. “Non dimenticherò mai la sensazione che ho provato quando mi ha chiamata il primario per comunicarmi la novità. In quei giorni tutta Italia si lamentava di dover rimanere chiusa in casa, mentre io ero felice perché, anche se momentaneamente, mi sembrava di essere uscita dall’incubo” racconta.

LO SFOGO: “DISORGANIZZAZIONE NON PIÙ COMPRENSIBILE” – In quel periodo il medico è riuscito a trovare un’altra baby sitter: “È stata un’odissea persino richiedere il bonus sul sito dell’Inps, ma lei è stata la mia salvezza e – con la confusione che c’è sui congedi – lo è tuttora”. E oggi, a un anno di distanza, la situazione resta difficile: “Lo scorso anno ho compreso le ragioni della disorganizzazione, ma oggi non le capisco più. Se non avessi mantenuto un rapporto lavorativo con la baby sitter anche a scuole aperte, cosa che non tutti possono permettersi, oggi sarei nella medesima situazione di un anno fa”. La stessa in cui si trovano molti altri colleghi: “Trovo assurdo che nessuno capisca come, per noi operatori sanitari, il congedo concesso dallo Stato sia cosa ben diversa dal periodo di tempo in cui tu ti puoi effettivamente assentare dal posto di lavoro senza procurare un danno ai colleghi e, soprattutto, alla collettività”.

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