Un impasto di incompetenza, impunità, strafottenza e incapacità, tutto condito da tanta indifferenza, in primo luogo da parte di politici così lontani dal sentire degli elettori da non comprendere che i danni operati alla società troveranno di certo un modo incontrollabile per sfogarsi. Quello che segue è un aspetto forse secondario della campagna vaccinale e questa è la storia, fatta di sanitari immersi nella burocrazia, cittadini vessati, spreco di risorse e di informazioni preziose.

Quasi terminati gli ultraottantenni, tocca adesso agli ultrasettantenni prenotarsi sul sito della regione di residenza e ottenere l’appuntamento. Prima sorpresa: il vaccinando dovrà presentarsi munito di 15 fogli A4, scaricati dal sito, stampati e compilati a mano. L’addetto a ricevere il vaccinando deve controllare che siano a posto e, se così non è, provvedere sul momento. Parte dei fogli da stampare riguarda il consenso informato, la rimanente è la scheda di anamnesi che il vaccinando compila rispondendo alle domande specifiche sulla sua storia clinica e sullo stato della sua salute.

Nella maggior parte delle Regioni, il malloppo si scarica dal sito dedicato, qualche Regione più virtuosa, come l’Emilia Romagna, lo manda all’indirizzo email fornito dall’utente. Poco cambia, sempre 15 fogli da stampare per l’utente e 15 fogli da controllare per chi deve vaccinare. Non stupisce perciò che i vaccinatori comincino a innervosirsi per la mole di carta e la perdita di tempo sottratto all’attività operativa. La procedura italiana è simile a quella di altri paesi d’Europa, solo che altrove non impongono la stampa e la compilazione a mano della documentazione a corredo della richiesta di vaccinazione. Dove è prevista la prenotazione, l’anamnesi e il consenso vengono prestati dall’utente compilando il pdf – in formato idoneo, simile a quello previsto dal Ministero dell’Interno per l’autocertificazione – per poi inviarli per email al sito di registrazione, con una procedura che può essere utilizzata anche da soggetti con poca famigliarità col pc. Quando si presenteranno all’accettazione, sarà l’addetto a resuscitare la loro dichiarazione e a chiedere conferma per renderla valida. Senza che un solo foglio venga stampato.

Per i vaccinandi senza prenotazione in tutta Europa sono state predisposte procedure analoghe, così in Inghilterra. In quasi tutta la Spagna il consenso informato si presta all’atto della vaccinazione davanti a un impiegato che disciplina l’accesso alle sale mediche, l’anamnesi si compila sul posto scegliendo fra il formato cartaceo per i meno avvezzi e la compilazione su un tablet (debitamente sanificato ad ogni passaggio) dello stesso questionario che da noi va stampato, compilato a mano, consegnato all’atto della vaccinazione e custodito va a sapere dove e per chissà quanto tempo.

Dunque, siamo all’anno zero in fatto di dematerializzazione nella Pa? Le cose stanno molto peggio. Ad esempio in Piemonte, che in passato molto ha fatto in tema di adeguamento della Pa alle nuove tecnologie, da oltre trent’anni opera una società interamente pubblica, il Csi (Consorzio per il Sistema Informativo Regionale), che gestisce l’informatica applicata alla Pubblica Amministrazione, forte di un fatturato annuo fra i 120 e i 130 milioni di euro e di un organico di oltre 1100 dipendenti, prevalentemente giovani e laureati in discipline scientifiche.

Negli ultimi tredici anni gli enti principali del Csi (Regine Piemonte, Provincia e Comune di Torino) hanno investito circa 12 milioni di euro in un progetto che si chiama DoQui: come recita il sito Internet del Csi: “…permette di organizzare, archiviare e condividere documenti in formato digitale. E’ fatto per gli Enti della Pubblica Amministrazione che hanno la necessità di assolvere gli obblighi di legge in materia di amministrazione digitale”. Un sacco di soldi per mettere in piedi un sistema di strumentazione informatica che la stessa Regione, che già ne disponeva come Csi, ha ignorato scaricando sui vaccinandi ogni sorta di incombenza, come se i servizi resi fossero da intendersi non già dalla Pa verso il cittadino, ma al contrario.

Possibile mai che nessuno, a partire dal Direttore del Consorzio e dai suoi dirigenti, per arrivare fino al Dirigente della Regione Piemonte che ha in carico la questione, si sia accorto di nulla? Eppure avrebbero dovuto stare in guardia – dopo che nella primavera scorsa era andato in tilt il sistema delle segnalazioni di casi di Covid dei medici curanti per blocco del fax (!) che li riceveva – per costruire in tempo strumenti per associare il servizio di registrazione dell’utente con la raccolta agevole di dati. Come si fa a seguire l’andamento quantitativo dell’epidemia se si rinuncia a conoscere le condizioni dichiarate dai pazienti in autocertificazioni che, in formato cartaceo, nessuno vedrà?

Applicando i parametri comuni per stimare il rapporto fra il consumo di carta e gli alberi tagliati per farvi fronte, nel solo Piemonte, oltre a consumare inutilmente le energie di operatori sanitari e vaccinandi, saranno sacrificati quasi 900 alberi per dare sfogo a una burocrazia ottusa, a dirigenti che andrebbero disboscati (loro sì) e a una politica che non sa più mettersi nei panni di chi vorrebbe rappresentare. Per tutta l’Italia il conto fa circa 13500 alberi di taglia media, vale a dire 620.000 mq di boschi. Poi ci sono i costi per la custodia dei fogli raccolti e per il loro smaltimento.

Di questo passo, l’ottusità e la malafede di chi sta ai vertici produrrà l’arrivo di un altro generale, questa volta a occuparsi di dematerializzazione, magari facendo finta che sia un obiettivo del Recovery Plan.

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