Con le varianti sarebbe opportuno stare a 2 metri di distanza nei momenti in cui si è senza mascherina, come quando si mangia o si beve. Anche chi è vaccinato, in caso di contatto ad alto rischio con un caso Covid, deve rispettare il periodo di quarantena e chi ha avuto il Covid deve comunque essere immunizzato, tra i 3 e i 6 mesi successivi all’infezione, anche perché la durata mediana dell’effetto protettivo legato all’aver contratto il virus è di circa 5 mesi. Sono queste le nuove raccomandazioni contenute nel documento “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione”, realizzato dall’Inail con Istituto superiore di sanità, ministero della Salute e Aifa.

A fronte della circolazione di varianti del virus, si legge nel report, per il distanziamento fisico un metro rimane la distanza minima da adottare ma sarebbe opportuno aumentarla “fino a due metri, laddove possibile e specie in tutte le situazioni in cui venga rimossa la protezione respiratoria come, ad esempio, in occasione del consumo di bevande e cibo”. Viste le mutazioni di Sars-Cov-2, si sottolinea nel documento, “non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani”, al contrario “si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure”. Relativamente al distanziamento fisico, in particolare, “non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa delle nuove varianti virali”, tuttavia “si ritiene che un metro rimanga la distanza minima da adottare e che sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri” nelle situazioni più a rischio.

Inail, Iss, ministero e Aifa spiegano inoltre che anche chi è vaccinato dopo un’esposizione ad alto rischio con un caso Covid, “deve adottare le stesse indicazioni preventive valide per una persona non sottoposta a vaccinazione, a prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione”. Il vaccinato considerato ‘contatto stretto’ deve osservare, purché sempre asintomatico, 10 giorni di quarantena dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo al decimo giorno o 14 giorni dall’ultima esposizione, come chiunque non sia stato immunizzato. Per “contatto stretto”, ricorda il documento, si intende l’esposizione ad alto rischio a un caso probabile o confermato: ovvero una persona che vive nella stessa casa di un caso Covid-19, una persona che ha avuto un contatto fisico diretto, per esempio la stretta di mano, una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia), a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti, una persona che si è trovata in un ambiente chius con un caso Covid-19 in assenza di mascherina.

Infatti, come sottolinea il documento, la vaccinazione è “efficace nella prevenzione della malattia sintomatica, ma la protezione non raggiunge mai il 100%”. Inoltre, specificano le autorità sanitarie, “non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da Sars-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti”, viene specificato. Si sottolinea anche che alcune varianti “possano eludere la risposta immunitaria” data dai vaccini. “Segnalazioni preliminari suggeriscono una ridotta attività neutralizzante degli anticorpi di campioni biologici ottenuti da soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA nei confronti di alcune varianti, come quella Sudafricana, e un livello di efficacia basso del vaccino di AstraZeneca nel prevenire la malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano”.

Le persone con pregressa infezione da SARS-CoV-2 confermata da test molecolare, indipendentemente se con Covid-19 sintomatico o meno, “dovrebbero essere vaccinate”, rileva il documento Inail-Iss-Aifa-ministero. È tuttavia “possibile considerare la somministrazione di un’unica dose purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dall’infezione e entro i 6 mesi dalla stessa”, ad eccezione delle persone con condizioni di immunodeficienza che “devono essere vaccinate quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi”. Il rischio di reinfezione da Sarsa-Cov-2 è stato infatti valutato, spiega il documento, in uno studio multicentrico condotto su oltre 6.600 operatori sanitari nel Regno Unito: i risultati mostrano che nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 “la durata dell’effetto protettivo dell’infezione precedente ha una mediana di 5 mesi”.

Le autorità sanitaria raccomandano inoltre che per garantire la diagnosi d’infezione sostenuta da varianti virali con mutazioni nella proteina Spike “i test diagnostici molecolari real-time PCR devono essere multi-target”, ovvero “capace di rilevare più geni del virus e non solo il gene spike (S) che potrebbe dare risultati negativi in caso di variante con delezione all’interno del gene S”, come quella inglese.

Articolo Precedente

Morta a 77 anni Ombretta Fumagalli Carulli: era stata sottosegretaria nei governi Ciampi, D’Alema e Amato II

next
Articolo Successivo

La circolare del Viminale: “Controlli accurati e mirati contro gli assembramenti e per Pasqua”

next