La pandemia di coronavirus ha costretto parte degli studenti italiani a frequentare in presenza meno della metà dei giorni teoricamente previsti. È quanto emerge dal Rapporto Save The Children, che ha preso in considerazione 8 capoluoghi di provincia. Il monitoraggio ha anche calcolato, che a livello globale, bambini e adolescenti di tutto il mondo hanno perso in media 74 giorni di istruzioni ciascuno: si stima che – tra il 16 febbraio 2020 e il 2 febbraio 2021 – sono stati 112 miliardi i di giorni di istruzione siano stati persi complessivamente e che siano stati i bambini più poveri del mondo a essere colpiti in modo sproporzionato. L’Ocse e la Banca Mondiale, riporta Save The Children, hanno stimato gli effetti economici di questa perdita di apprendimento, valutando che l’impatto economico condurrà a una contrazione del pil dei Paesi in media dell’1,5% nel resto del secolo.

Nel suo focus sull’Italia, il rapporto focalizza la sua attenzione da settembre 2020 a febbraio 2021, calcolando che i bambini delle scuole dell’infanzia a Bari, per esempio, hanno potuto frequentare di persona 48 giorni sui 107 previsti, contro i loro coetanei di Milano che sono stati in aula tutti i 112 giorni. Gli studenti delle scuole medie a Napoli sono andati a scuola 42 giorni su 97 mentre quelli di Roma sono stati in presenza per tutti i 108 giorni previsti. Per quanto riguarda le scuole superiori, i ragazzi e le ragazze di Reggio Calabria hanno potuto partecipare di persona alle lezioni in aula per 35,5 giorni contro i 97 del calendario, i loro coetanei di Firenze sono andati a scuola 75,1 giorni su 106.

La pandemia che lo scorso anno ha costretto gli studenti a interrompere bruscamente la loro presenza a scuola tre mesi prima della conclusione dell’anno scolastico, ha “duramente segnato” anche nel 2020/21 la loro possibilità di frequentare le aule scolastiche, osserva Save The Children. I dati evidenziano forti differenze fra le città, legate all’andamento del rischio di contagio così come alle differenti scelte amministrative. I numeri rilevati si riferiscono alle giornate scolastiche vissute in presenza, evidenziando quei territori dove gli studenti hanno fruito di periodi più lunghi di didattica a distanza, con le difficoltà che questo ha comportato in termini di accessibilità e per la perdita di opportunità relazionali dirette tra pari e con i docenti. “Sappiamo bene quanto le diseguaglianze territoriali abbiano condizionato in Italia, già prima della pandemia, la povertà educativa dei bambini, delle bambine e dei ragazzi – ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children – a causa di gravi divari nella offerta di servizi per la prima infanzia, tempo pieno, mense, servizi educativi extrascolastici”.

Ora anche l’apertura nel corso della seconda ondata Covid mostra una fotografia dell’Italia “fortemente diseguale”, sottolinea Milano, e rivela come proprio alcune tra le regioni particolarmente colpite dalla dispersione scolastica già prima della pandemia “siano quelle in cui si è assicurato il minor tempo scuola in presenza per i bambini e i ragazzi”. Il rischio, aggiunge, è dunque quello di un “ulteriore ampliamento delle diseguaglianze” educative. “Questi dati non possono lasciare indifferenti. Anche alla luce dei nuovi sviluppi della pandemia – ha proseguito la direttrice dei Programmi Italia-Europa – occorre mettere la scuola concretamente al primo posto, facendo ogni possibile sforzo per assicurare la prevenzione e la tutela della salute per gli studenti ed il personale scolastico e mantenere le scuole aperte in sicurezza, ricorrendo alla didattica a distanza solo nei casi di acclarata impossibilità di proseguire le lezioni in aula”.

Allo stesso tempo, ad avviso di Save The Children, è “necessario predisporre programmi e risorse che sin da subito e nel medio e lungo periodo – compreso il periodo estivo – consentano ai bambini e ai ragazzi dei contesti più deprivati che hanno subìto più a lungo periodo la lontananza dalla scuola e le maggiori difficoltà nella didattica a distanza di poter superare questo gap di apprendimento e di socialità”. La scuola, spiega ancora il rapporto, “non può essere lasciata da sola di fronte a questa sfida, ed è essenziale il coinvolgimento di tutte le risorse civiche e associative dei territori, con lo sviluppo dei patti educativi di comunità”. “Nel momento in cui tutte le categorie del Paese denunciano, comprensibilmente, la perdita di fatturato economico del proprio settore, occorre prestare attenzione ad una perdita meno visibile nell’immediato, ma estremamente grave per il futuro di intere generazioni”, osserva Milano.

Diversi studi internazionali, afferma Save The Cildren, hanno rilevato la “gravità della perdita di apprendimento causata dalla chiusura delle scuole e il rischio concreto, in assenza di interventi mirati, di una perdita secca di 0,6 anni di scuola e di un aumento fino al 25% della quota di bambini della scuola secondaria inferiore al di sotto del livello minimo competenze”. Le perdite sono maggiori tra gli studenti provenienti da famiglie meno istruite: “L’Ocse e la Banca Mondiale hanno stimato gli effetti economici di questa perdita di apprendimento, valutando che l’impatto economico condurrà a una contrazione del pil dei Paesi in media dell’1,5% nel resto del secolo”, conclude la ong.

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