“Una compromissione della credibilità” dovuta alla pubblicazione delle chat con Luca Palamara. Il dubbio che la “direzione delle indagini” sia avvenuta “in base a personali convincimenti politici“. Il rischio che “qualsivoglia inchiesta sulla Pa” effettuata dalla procura d’ora in poi sia “accompagnata dal sospetto di parzialità“. È l’atto d’accusa, durissimo, che la prima commissione del Csm lancia nei confronti del procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini. Nella delibera, firmata dal consigliere Nino Di Matteo, si chiede al plenum il trasferimento di Mescolini per incompatibilità ambientale con il distretto di Bologna.

La vicenda nasce dall’esposto presentato da quattro pm reggiane, Maria Rita Pantani, Isabella Chiesi, Valentina Salvi e Giulia Stignani, subito dopo la pubblicazione delle chat tra il capo della procura e l’ex presidente dell’Anm Palamara. Tra le accuse che le colleghe muovono a Mescolini c’è innanzitutto quella di aver detto di non aver mai interloquito con Palamara, quando dai messaggi è invece emerso un rapporto confidenziale tra i due e un interessamento sulla sua nomina. Le magistrate sostengono inoltre che il procuratore abbia ritardato le perquisizioni in un’inchiesta sui bandi comunali dopo le elezioni. Una mossa che, si legge nella delibera, “è stata vista come un tentativo di favorire (o comunque non pregiudicare) la candidatura del sindaco uscente del Pd“.

La prima commissione del Csm cita poi un altro caso: le pm sostengono che Mescolini ha chiesto di non iscrivere nel registro degli indagati “i soggetti la cui posizione indiziaria appariva debole“, e fra questi il sindaco Luca Vecchi (Pd), “ma di fare provvedimenti di non iscrizione motivati“. E ancora: una pm in un’audizione ha parlato di quando nell’indagine ‘Angeli e Demoni‘ sugli affidi a Bibbiano, si dovevano notificare gli avvisi di fine indagine a gennaio, ma il procuratore “non voleva perché c’erano le elezioni regionali“. Tutti fatti che, secondo la commissione di Palazzo dei Marescialli, hanno creato inevitabili conseguenze mediatiche, arrecando “un vulnus all’immagine della Procura di Reggio Emilia e hanno inevitabilmente generato un serio appannamento della figura del magistrato la cui credibilità, in un ambiente piccolo come quello reggiano, è stata fortemente deteriorata“.

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