Chiamare le cose col loro nome è sempre un problema, soprattutto quando si parla di razzismo. Ma quando a mancare sono le parole corrette per descrivere la realtà, le cose si complicano. Per ovviare ai vuoti della lingua italiana sull’argomento, è nato “Sulla razza”, il primo podcast sulla questione razziale in Italia, prodotto da Undermedia col supporto di Juventus e al suo debutto oggi 12 febbraio.

Dodici puntate, trenta minuti, due volte al mese per sei mesi: questa la tabella di marcia del progetto ideato da Nadeesha Uyangoda, autrice che si occupa di migrazione e identità, insieme a Maria Mancuso e Nathasha Fernando, che hanno già affrontato gli stessi temi nel podcast S/Confini. Le autrici si pongono come obiettivo quello di spiegare e tradurre i termini relativi alla discriminazione etnica e che l’Italia ha importato dalla cultura angloamericana. La sfida è (anche) quella di trovare concetti più adeguati a dare un nome alle varie facce del razzismo nel nostro Paese. Ilfattoquotidiano.it ha incontrato le tre speaker alla vigilia del debutto.

Come nasce il progetto?

Nadeesha Uyangoda: “L’idea mi è venuta durante il lockdown della scorsa primavera. Ascoltavo molti podcast in lingua inglese sulla questione razziale e mi sono resa conto della loro assenza in Italia. La necessità di tradurre le parole nasce dal mio lavoro di autrice: quando scrivo uso spesso concetti inglesi che non trovano corrispettivi in italiano, dove il tema non è ancora trattato con maturità. Ho poi proposto a Maria e Nathasha di unirsi sulla scorta della loro esperienza in S/Confini“.

In Italia il razzismo è sentito come un fenomeno non sistemico e lontano. Quanto l’uso di parole straniere influenza questa percezione?

Nadeesha Uyangoda: “L’uso di termini inglesi in Italia spinge a pensare che il razzismo si situi sempre altrove. Per esempio, dopo l’uccisione di George Floyd e l’esplosione del movimento Black Lives Matter negli Usa, anche l’Europa ha cominciato a interessarsi della questione razziale. In Italia chi si è proclamato “antirazzista” lo ha fatto forse troppo velocemente, in solidarietà magari verso la situazione degli afroamericani negli Stati Uniti, ma senza sapere poi come agire localmente, sugli episodi che interessano la propria comunità”.

Un esempio di espressione inglese usata in italiano e che non ha corrispettivi precisi nella nostra lingua?

Nathasha Fernando: “Nella seconda puntata parleremo di colourism, che tradotto letteralmente come ‘colorismo’ indica tutt’altro in italiano: ‘la ricerca di colore nell’arte’. In inglese invece il termine indica un tipo di discriminazione basata prettamente sulla gradazione del colore della pelle. Gli episodi di questo genere che avvengono anche in Italia sono numerosi, ma manca un nome specifico per designarli”.

Maria Mancuso: “Proprio l’assenza di un corrispettivo esatto in italiano innesca un circolo vizioso: senza una traduzione adeguata, un fenomeno non si può nominare, quindi non esiste. Si perde insomma la possibilità di problematizzarlo”.

Il razzismo in Italia raramente conquista le prime pagine dei giornali. Secondo voi quanto questa tendenza influisce anche sulla nostra lingua?

Nadeesha Uyangoda: “Quando i media non affrontano un tema adeguatamente allora esso diventa marginale. Per esempio dopo il caso di Floyd i giornali hanno tradotto il concetto di ‘cancel culture’ letteralmente, come ‘cancellazione della cultura’: una noncuranza che manifesta disinteresse“.

Maria Mancuso: “Questo fenomeno è tipico di quelle culture che non conoscono bene l’inglese: manca nell’informazione la sensibilità verso parole problematiche, spesso usate in maniera impropria. Penso per esempio alla confusione tra ‘migrante’ e ‘immigrato’; o ancora, tra ‘nomade’ e ‘rom’. Si teme il politicamente corretto e si finisce per usare termini inadeguati”.

Nathasha Fernando: “Per me c’entra anche un senso di pigrizia: per generalizzare si usano parole-ombrello che semplificano e non vanno al centro della questione. Qualsiasi straniero in Italia è immigrato, nero o extracomunitario”.

Ospitarete le voci di chi vive il razzismo in prima persona? Cosa si può fare nel quotidiano per contrastarlo?

Nadeesha Uyangoda: “L’obiettivo concreto di questo podcast è avviare una conversazione sul tema, in italiano, che continui sul lungo termine. Le parole sono un pretesto anche per iniziare a discutere del passato coloniale, italiano ed europeo, e del razzismo a livello strutturale, non solo nel caso di episodi di cronaca. Sul sito abbiamo una sezione dedicata alle biografie di chi ha contribuito a parlare di sé: speriamo sia una fonte utile per i giornalisti che vorranno ascoltare le storie di persone comuni”.

Maria Mancuso: “Io da italiana bianca tenterò di fornire gli strumenti necessari a chi vuole diventare attivamente antirazzista ed essere un buon alleato, ma non sa come iniziare un percorso in tal senso”.

Nathasha Fernando: “Io spero che questo podcast serva anche a sottolineare l’importanza dell’ascolto, a far comprendere il valore delle testimonianze dirette e a far accettare che l’Italia in effetti è, purtroppo, ancora un Paese razzista”.

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