di Davide Trotta

Se ormai è da un anno che conviviamo col Covid, dobbiamo invece ancora abituarci alla psicosi, o meglio ‘dragosi’, di massa che imperversa da qualche settimana. Poco o nulla conosciamo dei futuri disegni politici di colui che è stato presentato come panacea di tutti i mali, in compenso siamo edotti sulle sue inclinazioni culinarie per gli agnolotti e la sua antica abilità nel basket. Non abbastanza per tracciare l’identikit del futuro allenatore di una squadra esangue quale è l’Italia.

Ma proprio come avviene per una squadra disperata che fatica a macinare punti, basta esonerare l’allenatore e prenderne uno nuovo per iniziare a preconizzare gloriosi fasti in arrivo. Se comprensibile è l’alta percentuale di italiani che accoglie l’astro nascente, lascia perplessi la prostrazione, al confine con l’idolatria, da parte di tanta stampa, molta della quale inizialmente sbobinava alacri lingue anche al cattedratico Mario Monti.

Ora, poiché le campane a festa hanno ripreso a suonare più forte che mai al punto che quasi ci sembra di essere divenuti già titolari di conti alle Caiman e a breve dalle fontane stillerà champagne, non vorrei che tali campane fossero presaghe di sventura anche per il plurititolato neo presidente. Insomma, Draghi sarà pure un drago nel suo settore, ma si troverà a misurarsi con dinosauri della politica italiana, spesso balbuzienti quanto a capacità, ma solitamente lesti in strategia, opportunismo, voltagabbanismo, e dovrà scendere dal suo aureo trono e sporcarsi le mani in un lavoro di fine idraulico con politici molto più avvezzi a tenere le mani dentro il water.

E ancora: non è detto che un grande esperto della materia sappia anche insegnarla, trasmetterla; tra intellettuali è facile comunicare, possono intendersi con un gioco ammiccante di sguardi, perché già sanno ciò di cui stanno parlando. Ma usare lo stesso ermetismo in una classe in cui si richiedono comunicazione e interazione differenti porterebbe giocoforza all’insuccesso.

Pertanto, in attesa che le prime gocce di champagne comincino a stillare dalle patrie fontane, occorre mettere alla prova dei fatti Draghi e vedere come riuscirà a conciliare la sua posizione – potremmo dire di freddo stampo accademico – con la necessità di comunicare con gli italiani e di comprenderne esigenze e bisogni, tanto più in un momento storico cruciale; se riuscirà a tradurre in atto i suoi propositi sicuramente gloriosi e come si confronterà con i vari attori politici, storicamente abituati a essere Var di se stessi e a smentirsi con facilità disarmante.

Insomma, al netto di basket e agnolotti, le incognite sono tante, ma uno spiraglio s’apre nell’ermetico cielo del neonato presidente: nulla finora di certo, l’unica indiscrezione che da più parti rimbalza è quella riguardante un ipotetico prolungamento delle attività scolastiche fino a fine giugno. Finalmente un presidente che tiene al centro del dibattito la scuola al punto da promuoverla come uno dei primi temi, se non il primo.

È singolare tuttavia che questa particolare attenzione venga profusa ancora una volta in occasione di questa situazione emergenziale, al punto che uno dei ministri più noti di questa legislatura, per la prima volta nella storia repubblicana dopo Gentile e pochi altri, è quello dell’istruzione, Lucia Azzolina, al di là degli errori imputati alla sua gestione. Non male per un ministero storicamente relegato all’ombra, eppure depositario dei destini di generazioni di cittadini, le cui eventuali aspirazioni culturali erano state incoraggiate tempo fa dalla lapidaria sentenza “con la cultura non si mangia”, paradigmatica del ruolo assegnato all’istruzione nel nostro Paese.

Certo, si dirà, meno male che Draghi c’è e che già sta pensando ai nostri studenti, come se bastassero quei venti giorni di scuola in più per recuperare quantità di mesi trascorsi a distanza, come se docenti e studenti nel frattempo non avessero continuato a connettersi fino ad avere a nausea le pur necessarie lezioni a distanza, come se i disservizi nella scuola italiana legati a infrastrutture carenti, a nomine docenti tardive, al difficile reperimento dei docenti di sostegno, a scuole talora elitarie e più in generale alle scarse risorse destinate all’istruzione potessero essere riassorbiti in quella manciata di settimane.

I presunti venti giorni aggiuntivi, gabellati dietro a nobili intenti didattici, sembrano piuttosto inquadrarsi all’interno di un progressivo irrigidimento della pubblica amministrazione mirante a colpire i docenti, mai al centro del dibattito per gli stipendi da dieta, spesso invece nell’immaginario collettivo – non di rado cavalcato dalla politica – protagonisti di vacanze da sogno e licenze a cui è bene porre freni. Tale proposta, ammantata di amor patrio di fronte all’emergenza sanitaria ancora in corso, parrebbe inoltre rievocare la trita propaganda volta a ridurre i famigerati tre mesi di vacanze estive sulla scorta del modello del Nord Europa, non a caso artefice delle sorti del Vecchio Continente ed espressione di un establishment cui Draghi innegabilmente appartiene per gli incarichi ricoperti.

Dunque il rischio che Draghi possa risentire dell’influenza di quella burocrazia europea per cui ha lavorato è elevato e altrettanto rischiosa è questa sbornia di massa che può far perdere lucidità d’analisi sui movimenti in atto. D’altra parte la medesima proposta di allungare il termine delle lezioni scatenò un putiferio quando fu avanzata da Azzolina, accarezzata da Draghi invece scatena le pulsioni erotiche più sfrenate perfino nel più fiero oppositore della ministra, alias Salvini.

A sostegno di questa stretta di maglie, necessaria a contenere gli arbitrii dei docenti bischeri e più in generale del settore pubblico, la politica – Brunetta e Madia insegnano – ha promosso nel corso degli anni misure volte sempre più a ridimensionare il potere contrattuale dei dipendenti e a massimizzare il peso sanzionatorio dell’Amministrazione.

Tale esacerbazione del controllo e delle pene sembra riflettere piuttosto lo spirito verticistico proprio delle aziende, che d’altra parte dagli anni ’90 in avanti hanno fatto prepotentemente ingresso nella scena politica senza una linea di demarcazione netta sancita dal conflitto di interessi; e alfine hanno trionfato con l’abolizione dell’articolo 18, promossa dal discendente del Magnifico per favorire massicci investimenti delle imprese straniere che ancora stiamo aspettando.

Il buongiorno si vede dal mattino e Draghi, se mai avesse esposto quelle intenzioni sulla scuola, dimostrerebbe di far tesoro della lezione dei “maestri” del passato. Il fatto che questa “lezione” si possa integrare con i meccanismi della tecno-burocrazia europea che egli ben conosce e ha applicato dovrebbe indurci ad aggiungere all’eccitazione incontenibile per il nuovo un pudico sospetto.

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