“Considerata l’attuale situazione di diffusa crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità connessi ad agenti virali trasmissibili, che stanno interessando anche l’Italia”, è necessario assumere in modo immediato “iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività presente sul territorio nazionale”. Per questo, “è dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Sono parole che rimarranno scolpite nella storia quelle contenute nella delibera del Consiglio dei ministri pubblicata in Gazzetta ufficiale esattamente un anno fa, il 31 gennaio 2020. Un provvedimento di soli tre commi con cui l’Italia entra ufficialmente in stato di emergenza per il “nuovo coronavirus“, quando il Covid-19 è ancora una minaccia poco conosciuta, nata in un mercato di Wuhan, in Cina, e ben lontana dal cambiare le vite dei cittadini di tutto il mondo.

Proprio in quelle ore, nel nostro Paese vengono identificati i primi casi positivi: si tratta di una coppia di cinesi partita dalla provincia cinese dell’Hubei e giunta nella Capitale per una vacanza. Nella notte fra il 29 e il 30 gennaio marito e moglie, di 67 e 66 anni, vengono rintracciati e subito trasferiti all’ospedale Spallanzani, sin da subito in trincea per la lotta al virus. La sera stessa il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, prende parte a una conferenza stampa per dare l’annuncio agli italiani: “Abbiamo due casi accertati di coronavirus in Italia”. Le misure sono immediate: “Il ministro Speranza ha già adottato un’ordinanza che chiude il traffico aereo da e per la Cina. Siamo il primo Paese dell’Ue ad adottare una misura cautelativa di questo genere”. In realtà, come abbiamo scoperto nel corso dell’anno, il virus stava già circolando in tutto il pianeta da mesi, Italia compresa. E tutti i provvedimenti adottati prima del lockdown di inizio marzo sono serviti a ritardare solo di qualche settimana l’inevitabile.

Che i governi di tutto il mondo fossero ignari di ciò che ci aspettava lo dimostrano le parole del premier pronunciate quel giorno: “Non c’è nessun motivo di creare panico e allarme sociale“, avverte Conte. “Posso assicurarvi che in questo momento siamo in Italia nella linea di massimo rigore in funzione preventiva. Siamo nella condizione di poter tranquillizzare tutti i cittadini, la situazione è assolutamente sotto controllo. Ma non significa che ci stiamo appagando nelle prime misure”. E così gli altri ministri, i sindaci, le autorità europee e tutti gli altri leader dei Paesi occidentali. Solo a posteriori sappiamo che il virus stava già entrando nelle case di milioni di persone e che negli ospedali si moltiplicavano i casi di polmoniti bilaterali sospette. L’allarme in ogni caso non è stato sottovalutato: l’esecutivo dichiara lo stato di emergenza il giorno dopo dopo l’emergenza internazionale proclamata dall’Organizzazione mondiale di sanità. “La Cina – dice il 30 gennaio 2020 il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus – ha preso straordinarie misure per fare fronte all’emergenza del virus 2019-nCoV, ha isolato il virus, lo ha sequenziato e ha condiviso i dati con tutti. Dobbiamo ringraziare tutti coloro che hanno lavorato ininterrottamente per tutto questo tempo”. Poi chiarisce che in quel momento non è possibile immaginare quanto grande sarà l’epidemia. Da qui la decisione di mettere in allerta gli Stati di tutto il mondo.

Nel corso delle settimane successive, tutti adottano misure sempre più severe. A partire dall’Italia, che fa da apripista con il blocco dei voli per la Cina, le risorse per contrastare il virus e l’istituzione delle prime zone rosse. Oltre al 31 gennaio 2020, infatti, l’altra data storica da cerchiare sul calendario è quella del 17 febbraio, quando un uomo di 38 anni residente a Castiglione d’Adda, in provincia di Lodi, si presenta all’ospedale civico di Codogno accusando sintomi influenzali. Gli viene diagnosticata una leggera polmonite, ma al peggioramento delle sue condizioni viene sottoposto al tampone diagnostico nonostante non abbia avuto alcun contatto con cittadini rientrati dalla Cina. Tutto grazie all’intuizione di una dottoressa, Annalisa Malara, che va oltre quanto previsto dai protocolli sanitari. Si tratta di Mattia Maestri, il paziente 1, primo caso accertato in Italia di Covid-19 non collegato con Wuhan. Nel giro di poche settimane tutto il Paese avrebbe sperimentato il significato della parola “lockdown”, il peso dei bollettini quotidiani della protezione Civile, i contagi a livelli incontenibili e i morti in costante salita. Il resto è storia.

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