Appena il tempo di scendere dall’aereo e di assistere (a sorpresa) alla sconfitta onorevole della Fiorentina con l’Inter (1 a 2), che per Rocco Commisso è arrivato, come una doccia gelata, il no del ministero dei Beni culturali all’abbattimento dello stadio Franchi. Il patron viola vorrebbe farne il cuore di una cittadella sportiva, con l’obiettivo di reperire le risorse finanziarie per far decollare la società gigliata nel gotha del cacio italiano. Un sogno vecchio di 12 anni, quando i Della Valle, gli allora proprietari della Fiorentina, presentarono nel lussuoso albergo Four Season il progetto della Cittadella viola, firmata Massimiliano Fuksas – 80 ettari tra nuovo stadio, alberghi, museo e centri commerciali – che sarebbe dovuta sorgere a Castello, tra Firenze e Sesto Fiorentino.

Il sogno si è arenato nel tardi pomeriggio di venerdì scorso, quando il ministero dei Beni culturali ha inviato alla Fiorentina una lettera che incatena qualsiasi velleità di rifare il Franchi da cima a capo: giù le mani dalla pensilina, dalla torre di Maratona, dall’anello strutturale e dalle scale elicoidali. Tutti ritenuti elementi architettonici di pregio da conservare dell’opera costruita novant’anni fa dall’architetto Pier Luigi Nervi. Addio nuovo stadio, addio cittadella viola. Nel comunicato di risposta alla decisione del Mibact, Commisso se la prende con il partito dei conservatori del Franchi: “Ora immagino che la burocrazia italiana insieme a tutte le realtà che si sono fortemente attivate per evidenziare al Mibact la necessità di salvare il Franchi come Archistar, Fondazioni e Comitati, siano altrettanto rapidi a raccogliere i fondi necessari che occorreranno al Comune per ristrutturare lo stadio”. In soldoni: vi siete opposti al restyling del Franchi? Bene, tirate fuori i soldi necessari al Comune per ristrutturare lo stadio di Nervi. D’altra parte su questo punto il tycoon americano è stato sempre chiaro: “Se devo metterci io i soldi, il Franchi lo ristrutturo come voglio io”.

Se Commisso è il primo sconfitto, gli altri due sono il sindaco Dario Nardella e Matteo Renzi. Che è stato il primo firmatario del decreto legge Semplificazioni e grande avversario di Andrea Pessina, il Soprintendente per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio, che ha sempre difeso l’opera di Nervi. “Pessina ha molti beni da tutelare, si occupi di quelli e lasci stare lo stadio di Firenze su cui decidono Comune e Fiorentina”, tuonò nel settembre scorso Renzi. Ma il ministero di Dario Franceschini ha dato ragione a Pessina e torto al leader di Italia Viva.

Per Nardella la sconfitta è ancora più amara perché il cerino della vicenda Franchi resta accesso nelle sue mani. Lo stadio così come è deve essere comunque ristrutturato, va coperto e reso conforme alle direttive europee e della Lega calcio, che con il suo presidente Paolo Dal Pino si è subito schierata dalla parte di Commisso. Poiché lo stadio è di proprietà del Comune, ecco che al primo cittadino tocca ora il compito di trovare i soldi. In queste ore l’entourage del sindaco racconta di un Nardella deluso e infuriato con il Mibact. Palazzo Vecchio si aspettava infatti una posizione più aperta, in grado di costringere Commisso a mettersi a sedere attorno a un tavolo per ristrutturare il Franchi.

Cul de sac, vicolo cieco. Questa è la situazione del nuovo stadio a Firenze, 590 giorni dopo l’arrivo di Commisso in riva all’Arno al timone della Fiorentina al posto dei fratelli Diego e Andrea Della Valle. Fin dal primo giorno l’imprenditore italo-americano si è impegnato a costruire un nuovo stadio, ritenuto essenziale per le fortune calcistiche della Fiorentina, altrimenti costretta “a vivacchiare”, ha sostenuto più volte. Prima l’ipotesi di costruirlo alla Mercafir, poi il restyling del Franchi: soluzioni bocciate. Resta in piedi il progetto del nuovo impianto a Campi Bisenzio ma il presidente della Regione Eugenio Giani l’ha quasi bocciato: “Ci sarebbe il problema della viabilità. Chi la pagherebbe? La pianificazione urbanistica è pubblica e non può essere contrattata”. Commisso guarda i conti e predica ai suoi manager rigore e oculatezza. Addio nuovo stadio ma anche sogni di gloria?

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