Pessimo inizio, forse un sinistro presagio, ma del resto le missioni dietro le linee nemiche hanno l’abitudine di andare male: gli elicotteri Black Dawn abbattuti a Mogadiscio, il tentato salvataggio degli ostaggi in Iran che segnò la fine della presidenza di Jimmy Carter, l’incidente dell’elicottero che mise in pericolo la missione per far fuori Bin Laden, la scoperta di cecchini da parte dei pastori afghani in Lone Survivor… Quando si combatte, tutto quel che può andare male andrà male, nel momento peggiore, persino ancora prima che lo scontro vero e proprio, in questo caso cinematografico, abbia inizio.

L’analisi di un film, Dove osano le aquile, diventa il modo per Geoff Dyer, nel testo Fuga (traduzione di Katia Bagnoli; Il Saggiatore), di raccontare la propria vita e di sviluppare le sue personali concezioni sui meccanismi che attivano i ricordi della nostra giovinezza. Così tra panoramiche delle Alpi Bavaresi, primi piani dell’imperscrutabile Clint Eastwood, modellini aerei, estrazioni di denti, il volto di un Richard Burton pensieroso, vacanze sciistiche fatte nel proletario giardino di casa, Luger giocattolo ed esplosioni cinematografiche, l’autore inglese tesse una tela ironica e limpida, scena per scena, trasformando una semplice sinossi in una narrazione della memoria.

Un crudo e realistico spaccato letterario rimasto nascosto per novant’anni. Si tratta di Romantica Marsiglia, di Claude McKay (traduzione di Anna Mioni; prefazione di Roberto Saviano; Pessime Idee), ispirato da una storia vera e osteggiato dagli editori, all’epoca, per i temi affrontati. Lafala, il protagonista, (costruito sulla falsariga di Nelson Simeon Dede, un nigeriano che viveva nella comunità dei marinari e scaricatori di porto a Marsiglia), si nasconde clandestinamente in un piroscafo diretto a New York; Una volta scoperto viene rinchiuso in un bagno così freddo da congelargli le gambe. Una volta a New York gli vengono amputati gli arti inferiori, e divine ricco per via del grosso risarcimento avuto dalla compagnia navale.

Lafala torna a Marsiglia per amore e questo gli costa tutta la sua fortuna. McKay, con Wallace Thurman una delle figure più importanti dell’Harlem Renaissance, con quest’opera affronta le condizioni sociali di perenne schiavitù dei neri, il tema dell’omosessualità e l’autodeterminazione delle persone di colore.

Vedo la faccia di merda dello sbirro dietro la visiera… Bianca dal terrore. Si è visto morto. Qui in questa strada. In questo posto… E io vorrei vederlo morto. Sul serio. Vorrei vedere morti lui e tutti quelli della sua razza. Tutti dal primo all’ultimo, quegli stronzi. Morti… Ma lui si alza. Corre. Scappa via. Fugge… Lo guardo rialzarsi. Lo sguardo scappare via. Fuggire… con un gusto salato in bocca. Lo sento in bocca anch’io… La paura. Paura fottuta… Sputo. Sputo e sputo. Lo stomaco aggrovigliato.

GB84, di David Peace (traduzione di Marco Pensante; Il Saggiatore), è il romanzo definitivo del grande sciopero dei minatori inglesi che li ha visti contrapposti, per oltre un anno, al governo dell’allora Primo ministro Margaret Thatcher. Con la sua prosa ipnotica, dove la ripetizione ossessiva delle parole diventa forza ritmica della stessa narrazione, Peace scrive, nero su bianco, indelebile, il grande affresco di una sorta di guerra civile, tutti contro tutti. Alla stregua di James Ellroy e della sua trilogia americana, l’autore inglese mischia personaggi realmente esistiti con personaggi di finzione, riuscendo a presentare una storia che è romanzo, inchiesta giornalistica, noir e sperimentazione linguistica della strada e delle miniere dello Yorkshire, trasformando Germinal in una contemporanea e nichilistica deriva post-punk.

Presto non si trattò più di un semplice buco, ma di un abisso che si allargava inesorabilmente e Tristan continuava a non muoversi. Prima ha occupato tutta l’ampiezza del lavabo, poi ha ingoiato il resto della stanza, centimetro per centimetro, infine è toccato al corpo di Tristan, Tristan che si lasciava mandar giù senza reagire e nemmeno io ci riuscivo. Avevo paura, ero paralizzata, guardavo giù nell’abisso. E quando l’abisso mi ha restituito lo sguardo ho capito che avrebbe ingoiato anche me.

Opera prima dell’editor e traduttore letterario Vincent Raynaud, Disintegrazione (traduzione di B. Alessandro D’Onofrio; Il Saggiatore), è una raffigurazione cruda della Parigi degli anni Settanta. È la storia di Tristan, percussionista classico che scopre il punk e infine la new wave e diventa il leader inquieto di una band determinata a emergere. Con un sottofondo di feste, droga, amicizia, abbruttimento made in mainstream, le amicizie distrutte, la ricerca della felicità e il ritrovamento di un candore remoto, Raynaud scrive un romanzo con uno stile che a tratti ricorda l’indimenticabile narrazione del dopo ’68 raccontata da Olivier Rolin in Tigre en papier, mettendo in luce la forza e la debolezza della generazione cresciuta in un decennio di grandi cambiamenti sociali, culturali e musicali.

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