“Non dico che aria di crisi non c’è stata: dico semplicemente che la crisi non è nelle mie mani“. Che la situazione dalle parti dell’esecutivo non sia tranquilla, lo ha confermato lo stesso Giuseppe Conte. Intervistato da Bruno Vespa a Porta a porta, stando alle anticipazioni della puntata che andrà in onda questa sera, ha infatti ammesso le difficoltà dovute alle continue minacce di Italia viva e Matteo Renzi. “In questi giorni ho parlato poco”, ha detto, “ma ho sempre chiarito che si va avanti se c’è la fiducia di ciascuna forza che sin qui ha sostenuto la maggioranza. Ho dimostrato in mille occasioni che sono qui a lavorare per l’interesse del Paese”. Insomma, neanche il doppio giro di consultazioni (prima per la verifica di maggioranza e poi sul Recovery fund), ha permesso di calmare le acque. A dimostrarlo è stata l’intervista di Matteo Renzi su La7 intorno alle 13 di oggi: “Le dimissioni delle ministre? Tutto è ancora sul tavolo”, ha detto a L’Aria che tira. Ma non solo, in riferimento al rischio di voto anticipato paventato da Dario Franceschini ha aggiunto: “Sta bluffando”.

Il problema principale sono le distante su alcuni nodi cruciali: dal Mes (per Conte significherebbe “aggravare il fardello di deficit sulle generazioni future”) alla delega sui Servizi che il premier non intende cedere. Sembra invece che sia stata raggiunta una mediazione sulla task force che ci sarà, ma non nella forma temuta dai renziani. Escluso al momento rimane infine il rimpasto. “Tutti si sono sfilati, mi hanno detto che non c’è questa necessità”, ha detto il premier. “Portiamo rispetto a chi dall’inizio della pandemia ha affrontato crisi mai vista prima”. Ora l’obiettivo è cercare di concentrare gli sforzi sul Recovery plan: “Bisogna correre”, ha ribadito. Quella è la partita su cui il governo si gioca “la credibilità” e il suo stesso futuro. “Se falliamo, andremo a casa con ignominia”.

Il nodo Mes – Ieri c’è stato sì un faccia a faccia con i renziani, ma le distanze con il premier è evidente rimangono. A partire dal tanto contestato Mes che è destinato a divedere l’esecutivo. Il premier ha sempre detto che si sarebbe rimesso alle Camere, oggi è andato oltre spiegando perché per lui non è una priorità: “Se attivare o meno il Mes è prerogativa del Parlamento”, ha ribadito a Porta a porta, “ma cerchiamo di capirlo: i 36 miliardi del Mes ci farebbero accumulare deficit e lasceremmo così alle generazioni future un fardello non da poco“. Se il problema sono gli investimenti sulla sanità, Conte ha rivendicato una serie di interventi trasversali già previsti: “Negli incontro fatti con le forze di maggioranza abbiamo discusso degli stanziamenti nella bozza del Recovery sulla salute. Si è detto che 9 miliardi sono pochi, ma io ho detto a tutti di ragionare sul fatto che molti progetti sono trasversali. Come quando ragioniamo sul capitolo degli efficientamenti degli edifici pubblici o sulla digitalizzazione. Già adesso quindi stiamo parlando di più di 15 miliardi di partenza. Ho detto che siamo disponibili a discutere di rafforzare gli investimenti per la sanità: continuiamo a lavorarci”.

I tempi per l’approvazione del Recovery plan: “Se falliamo andiamo a casa con ignominia” – Ora la preoccupazione principale di Conte è fare in fretta: “Abbiamo l’obiettivo di chiudere entro l’anno il documento di aggiornamento sullo stato dell’arte” del Recovery plan. “E’ importante farlo perché poi potrebbero accumularsi dei ritardi che oggi non ci sono”. Quindi, ha detto: “Non possiamo permetterci di ritardare. Per questo ho invitato tutte le delegazioni di maggioranza e governative per affrettare l’esame della documentazione e ritrovarci già tra Natale e Capodanno e Capodanno per trovare la necessaria sintesi. Dobbiamo assolutamente andare avanti nel lavoro e inviarlo in Parlamento e avviare il confronto con le parti sociali. Non dobbiamo indugiare oltre. Il 7 dicembre ho portato in un Consiglio dei ministri straordinario la bozza perché fosse discussa da tutti. Da allora abbiamo continuato a lavorare a livello ministeriale per approfondire meglio i vari aspetti dei progetti e dei saldi. Adesso però dobbiamo correre e ci dovrà essere la sintesi finale“.

E se così non fosse, il governo se ne andrà a casa: “Questo piano deve confermare la piena credibilità dell’Italia, non possiamo disperdere le risorse: se non riusciremo in questo intento, questo governo se ne deva andare a casa, con ignominia. Lasciamo perdere le crisi o le contro-crisi di governo”. Per quanto riguarda il coordinamento, Conte ha anche confermato quanto detto dal ministro Roberto Gualtieri in mattinata: ci sarà una struttura, anche se non sarà al di sopra dei ministeri (come temuto da alcuni): “La task force, come struttura centralizzata che avrebbe sopravanzato e prevaricato i ministeri, è stata superata perché non è mai esistita“, ha garantito Conte. “Una struttura di monitoraggio ce la chiede l’Europa, è prevista a pagina 36 delle linee guida dell’Ue per aggiornare l’Europa. Avremo migliaia di cantieri: pensare che non ci sia una struttura di monitoraggio è impensabile”.

La delega ai Servizi e le contestazioni di Italia viva – C’è un altro punto cruciale che divide Italia viva e Giuseppe Conte: la delega ai Servizi segreti. Renzi, lo ha detto di nuovo anche oggi su La7, chiede che non sia il premier a tenerla. Ma il presidente del Consiglio ha tutt’altra opinione: “Non vorrei ci fossero equivoci: il presidente del consiglio non si è appropriato di questi poteri, glieli attribuisce la legge e io non posso sottrarmi a questa responsabilità. Anche in passato l’autorità delegata è sempre stata del partito del presidente: se volgiamo costituire per la prima volta una struttura bicefala con una forza politica che ne rivendica l’autorità sarebbe una grave compromissione sull’operatività dell’intero comparto. Detto questo io sono disposto a discutere di tutto, ma per l’interesse generale e non di singole parti delle forze di maggioranza”.

Il ritorno in classe per il 7 gennaio – Conte, nel corso dell’intervista a Porta a porta, ha anche parlato del ritorno in classe degli studenti previsto, salvo aumento dei contagi, per il prossimo 7 gennaio: “Con le prefetture a livello provinciale c’è un tavolo dei ministri da giorni per coordinarsi e trovare soluzioni flessibili“, ha garantito. Anche se tutto questo potrebbe non bastare. “Ho raccomandato perché ci sia un’apertura differenziata scuola per scuola, paese per paese. Nel segno della flessibilità: è l’unica possibilità che abbiamo per evitare criticità che si concentrano anche sui trasporti. Dobbiamo ripartire con la didattica a distanza almeno al 50% per le scuole superiori di secondo grado, con il massimo di flessibilità”.

Molto dipenderà dal comportamento degli italiani durante le feste e dal numero di casi dei prossimi giorni. Con il rafforzamento della “la cintura di protezione” anti Covid “per il periodo natalizio” dovremmo “poter affrontare gennaio dosando cum grano salis le misure solo dove necessario tra zona gialla, arancione e rossa. Se dovesse arrivare un’impennata, una terza ondata o una variante che faccia sbalzare l’RT, allora ci troveremmo facilmente in zona rossa o con misure più restrittive. Ma in una situazione come quella attuale forse dovremmo affrontare gennaio-febbraio con una certa tranquillità”. Infine, parlando del vaccino, ha detto che secondo lui l’obbligo non serve: “Esiste il principio di autodeterminazione per cui qualsiasi trattamento deve essere volontario. Noi adesso facciamo partire il piano: se dovessimo scoprire che la popolazione non si sottopone sarà un problema e allora lo si dovrà affrontare. Ma non c’è ragione di crederlo. L’ipotesi che le persone” non si vaccinino “è meramente residuale: la previsione è arrivare a 10 o 15 milioni di cittadini sottoposti a vaccinazione per avere un impatto significativo. Dovremmo arrivarci ad aprile”.

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