Come accade in tempo di guerra, anche con il Covid l’informazione non può essere disfattista, altrimenti rischia di essere accusata dalle strutture di potere di fare l’interesse del nemico. In Veneto sembra essere vietato attaccare il sistema sanitario, raccogliere testimonianze di medici o infermieri, dichiarare che nelle Rsa si muore, che il personale ha attrezzature scadenti, oppure che nelle terapie intensive non c’è posto e qualche paziente è morto in corridoio. Si rischia la querela per diffamazione o addirittura che un servizio televisivo venga inviato alla Procura della Repubblica per procurato allarme.

Nella regione che fino a qualche mese fa era additata come un modello sanitario, adesso la recrudescenza del morbo sta colpendo più duramente che altrove. Ogni giorno il governatore Luca Zaia tiene conferenze stampa-fiume per fare il punto della situazione, ottenendo titoli e prime pagine, ovviamente giustificate dalla drammaticità della situazione. Ma se accade che qualche giornalista si avventuri fuori dal sentiero tracciato, ecco i guai. È per questo che il Sindacato giornalisti del Veneto, con il segretario Monica Andolfatto, e la Fnsi, con il presidente Giuseppe Giulietti, hanno manifestato a Venezia, davanti a Palazzo Labia, sede della Rai del Veneto.

Matteo Mohorovicich, giornalista Rai, il 14 dicembre ha intervistato a Verona un operatore sanitario, lo ha ripreso di spalle, alterandone la voce, perché il dipendente di Borgo Trento aveva paura di ritorsioni sul posto di lavoro. È stato lui a denunciare la morte di pazienti in corridoio perché in terapia intensiva non c’era più posto. In conferenza stampa, il commissario dell’azienda ospedaliera Francesco Cobello – smentendo la ricostruzione del dipendente – ha adombrato l’invio dell’intervista in Procura per procurato allarme.

Ingrid Feltrin, direttrice del giornale online OggiTreviso, ha raccolto in esclusiva una lunga intervista a medici e infermieri del San Valentino di Montebelluna. Dicevano che i nuovi malati di Covid venivano mandati a casa perché non c’era più posto, che il numero di infetti tra il personale era in crescita e che la situazione era fuori controllo. Anche in questo caso è arrivata la smentita della direzione sanitaria, seguita da una conferenza stampa on-line con primari e medici fatti sfilare per dire che tutto andava bene. E, come appendice, la minaccia di difendersi “nelle sedi opportune”. Peccato che due giorni dopo siano arrivati a Montebeluna sette ispettori mandati d’urgenza dal ministero della Salute.

A Verona, invece, la giornalista Alessandra Vaccari de L’Arena ha raccolto una testimonianza (protetta dall’anonimato) dall’interno di una casa di riposo che svelava l’esistenza di una situazione gravissima. Ha ricevuto una lettera della direzione della Rsa, con la richiesta di smentire tutto. La replica di poter entrare nella struttura per verificare la situazione non ha ancora avuto una risposta.

“No bavaglio” è il logo della protesta dei giornalisti che hanno raccolto la solidarietà delle forze politiche di minoranza in Consiglio regionale del Veneto. Il Pd: “Il diritto all’informazione non può andare in lockdown, diciamo no alle querele bavaglio. I cittadini non possono essere informati esclusivamente tramite comunicati o dirette sui social”. “No al pensiero unico sulla sanità veneta. Abbiamo presentato un’interrogazione per chiedere alla giunta Zaia, anche in nome della libertà di stampa, di verificare quanto denunciato dai giornalisti rispetto alle carenze segnalate”, hanno dichiarato i consiglieri Cristina Guarda (Europa Verde), Elena Ostanel (Il Veneto che Vogliamo) e Arturo Lorenzoni, portavoce dell’opposizione. Anna Maria Zanetti, Anna Lisa Nalin e Corrado Cortese di +Europa Veneto hanno invitato “tutta la stampa veneta a continuare ad essere presidio di informazione e verità in un momento in cui la politica sembra voler nascondere tutta la sua debolezza e impreparazione”. Erika Baldin, dei Cinquestelle: “I cittadini hanno il diritto ad essere informati, qualsiasi attacco nei confronti degli operatori dell’informazione si qualifica da sé e va respinto al mittente”.

Foto d’archivio

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