di Ani Vardanyan*

Abbiamo varcato la soglia del XXI secolo: noi cittadini del terzo millennio crediamo forse che nulla ormai possa stupirci. Eppure la storia si ripete ancora una volta e diventiamo testimoni dell’ennesima tragedia umana. Una tragedia che viene a bussare alle nostre porte travolgendo lo spazio che ci siamo ritagliati per isolarci da tutto ciò che non ci riguarda direttamente.

E anche questa volta possiamo fare la nostra scelta: restare indifferenti facendo finta di essere ignari di ciò che sta accadendo, oppure aprire gli occhi impegnandoci a fermare la politica “memoricida” delle autorità azere verso una delle civiltà più antiche del mondo, la civiltà armena.

In Azerbaijan, un paese dove l’odio verso l’etnia armena è la base della propaganda del regime, un paese dove seminare e alimentare odio verso il popolo armeno è quasi un dovere morale, la cancellazione di qualsiasi traccia della presenza armena nel territorio ha una lunga storia. Si tratta di un odio talmente forte che non ha voluto risparmiare migliaia di khachkar armeni (croci di pietra riconosciute Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco), sistematicamente distrutte negli anni 1998-2005 in Nakhichevan.

Ed è lecito domandarsi il perché di un tale odio verso il popolo armeno, che ha una presenza millenaria documentata da un immenso patrimonio culturale, storico, artistico e religioso nel territorio. Mentre il mondo civile si sveglia lentamente mostrando segni di preoccupazione in quel fazzoletto di terra chiamato Nagorno Karabakh, è già ripartito il ‘genocidio culturale’ messo in atto dalle autorità azere.

Il ministro della cultura azero Amar Karimov che dovrebbe garantire la protezione dei monumenti armeni è impegnato direttamente nella falsificazione della storia che riguarda il patrimonio artistico-religioso armeno. Oltre ai recenti atti vandalici compiuti verso le chiese armene, come nel caso delle due chiese di Shushi (San Salvatore e San Giovanni Battista), si assiste ancora una volta ad una inaccettabile falsificazione dei fatti storici.

Nel quadro dell’iniziativa Let’s get to know our Christian heritage che da come presentata “mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’antico patrimonio cristiano dell’Azerbaijan” diventa evidente come l’Azerbaijan si appropri dei monumenti armeni negando la loro vera origine e attribuendoli all’Albania Caucasica.

Si tratta di un modus operandi accurato e ben elaborato: cancellare le prove, negare l’evidenza dei fatti, creare una storia fittizia e infine fare propaganda. Una tale politica ha delle radici molto profonde. Un esempio calzante può essere la chiesa armena a Nij, “restaurata” nel 2004 mentre vennero cancellate le iscrizioni in lingua armena che ne confermavano l’origine appunto armena.

È doveroso notare che lo sforzo delle autorità azere di creare una storia fittizia spesso sfidi la fantasia umana, come nel caso di Dadivank, un monastero di inestimabile valore architettonico ed artistico dove si trovano le reliquie di San Dadi, discepolo di San Giuda Taddeo. Secondo il ministro Karimov che ne parla personalmente sul social network si tratterebbe di “uno dei migliori testimoni della civiltà dell’antica Albania Caucasica”.

L’Azerbaijan passa dalle parole alle azioni con una velocità frenetica. Pochi giorni fa nella chiesa di Dadivank è stata celebrata una messa da un gruppo di religiosi di nazionalità udi (una popolazione antica del Caucaso di religione cristiana).

L’archeologo e storico Hamlet Petrosyan scrive: “Tranne circa 100 iscrizioni in lingua armena presenti in Dadivank risalenti ai sec. XII-XVII non esiste una sola lettera in un’altra lingua” e aggiunge che quello che sta facendo l’Azerbaijan “non è altro che un atto di sequestro forzato del patrimonio culturale-religioso dai suoi creatori, un evidente genocidio culturale”.

L’Azerbaijan è disposto a creare dal nulla storie inesistenti per centinaia di siti archeologici, chiese, complessi monastici, fortezze, monumenti, cimiteri attribuendo la loro appartenenza a qualsiasi civiltà purché non sia quella armena. È una rete tessuta per anni con l’unico obiettivo di cancellare qualsiasi traccia armena nel territorio.

Goebbels, esponente di spicco del nazismo tedesco, diceva: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà realtà”. Probabilmente ne sono sicure anche le autorità azere e non vi è nulla di più triste di questo. Non per caso le immagini dei monumenti armeni pubblicate sui social network sono spesso accompagnate dall’hashtag #dontbelieveArmenia, che viene a confermare la loro volontà di sfidare la Storia.

Ed è un dispiacere profondo ma sincero che si prova per il popolo azero, intrappolato nella falsità, vittima di una visione distorta della realtà creata dal regime. Sarebbe ridicolo se non fosse infinitamente tragico il disperato sforzo del governo azero di cancellare qualsiasi prova della presenza armena nel territorio. L’Azerbaijan sembra incapace di rendersi conto che si può distruggere solamente ciò che di materiale è fatto, ma mai la conoscenza e la memoria tramandata attraverso la storia.

*Docente di lingua italiana all’Università Brusov di Yerevan e all’Università Americana in Armenia, collabora per alcune testate armene e italiane

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