Niente eparina, niente antibiotici, niente idrossiclorochina e nemmeno supplementi vitaminici o integratori alimentari inclusa vitamina D e lattoferrina. Il Comitato tecnico scientifico lo raccomanda nell’atteso documento, che ha varato il 30 novembre, sulla gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-Cov2. Sedici pagine per rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale l’approccio terapeutico di medici e pediatri di famiglia e fare chiarezza in mezzo alle decine di linee guida che in questi mesi sono state prodotte da Regioni, Asl e società scientifiche. Le raccomandazioni del Cts, le cui anticipazioni erano state diffuse a metà novembre, sono state accolte dalla circolare del ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2“.

Innanzitutto, si ribadisce che il monitoraggio quotidiano dei parametri, anche al telefono, “soprattutto nei pazienti sintomatici lievi è fondamentale poiché circa il 10-15% dei casi lievi progredisce verso forme severe”. Come valore soglia di sicurezza si consiglia il 92% di saturazione dell’ossigeno. “Infatti – scrivono gli esperti -, valori di saturazione superiori a questo limite hanno una assai bassa probabilità di associarsi a un quadro di polmonite interstiziale grave”. In caso di peggioramento delle condizioni cliniche, può essere fornita l’ossigenoterapia a domicilio e si esortano a eseguire visite domiciliari.

In riferimento ai trattamenti farmacologici, si può utilizzare il paracetamolo (o fans) in caso di febbre o dolori articolari o muscolari. Bandito l’uso routinario di cortisonici, riservato ai pazienti positivi gravi che necessitano di supplementazione di ossigeno. Anche l’eparina viene in generale controindicata e raccomandata soltanto nei soggetti costretti a lungo a stare a letto a causa dell’infezione. Mentre la prescrizione di antibiotici, si legge nel documento, va fatta “solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica, o, infine, quando l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico”. Al vademecum si allegano anche le linee di indirizzo dell’Agenzia italiana del farmaco sulle principali categorie di farmaci.

I pazienti Covid “a basso rischio” che possono essere curati a casa dai medici di famiglia devono rispondere a precisi criteri. Ovvero, l’assenza “di fattori di rischio aumentato come patologie tumorali o immunodepressione” e avere le seguenti caratteristiche: “Sintomatologia simil-influenzale (ad esempio rinite, tosse senza difficoltà respiratoria, mialgie, cefalea); assenza di dispnea e tachipnea; febbre a 38° o inferiore da meno di 72 ore; sintomi gastro-enterici (in assenza di disidratazione e/o plurime scariche diarroiche); astenia, ageusia disgeusia, anosmia”. Il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta assiste il paziente con sintomatologia lieve “coadiuvato da un membro della famiglia. Una valutazione del contesto sociale (condizioni domiciliari generali, presenza di caregiver) deve, pertanto, essere parte essenziale dell’iniziale valutazione”, si legge nella circolare. Inoltre, “i pazienti e i membri della famiglia dovranno essere educati in merito all’igiene personale, alle misure di prevenzione e controllo delle infezioni, e a come correttamente approcciare una persona con infezione da Sars-CoV-2 in modo da evitare la diffusione dell’infezione ai contatti”. Il medico di famiglia o il pediatra “deve anche rilevare la presenza di eventuali fattori che possano rendere il paziente più a rischio di deterioramento e, in particolare, è fondamentale considerare e documentare la presenza di comorbosità“.

La circolare, inoltre, indica sul piano tecnico che, “per rendere omogenea e confrontabile la valutazione iniziale del paziente è, importante utilizzare uno score che tenga conto della valutazione di diversi parametri vitali. Uno degli score utilizzabili, anche al fine di adottare un comune linguaggio a livello nazionale, è il Modified Early Warning Score, il quale ha il pregio di quantificare la gravità del quadro clinico osservato e la sua evoluzione, pur dovendosi tenere in conto eventuali limiti legati, per esempio, alla valutazione dello stato di coscienza in soggetti con preesistente deterioramento neurologico”. Nel documento si sottolinea che, “per ridurre la pressione sulle strutture di Pronto soccorso e poter mantenere negli ospedali tutte le attività ordinarie, è opportuno che il personale delle Usca“, Unità speciali di continuità assistenziale, “operi in stretta collaborazione fornendo supporto ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta”.

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