“Non sono serena, non posso accettare l’incarico l’indagato mi conosceva e ha indicato me quando gli è stato chiesto chi dovesse patrocinare la sua difesa, ma non posso accettare l’incarico. In questi minuti si sta procedendo a indicare l’avvocato d’ufficio: io non posso assumere le difese di quest’uomo, dopo una vita e una carriera spese a promuovere la tutela dei diritti delle donne”. L’avvocata Rossana Rovere, già presidente dell’Ordine degli avvocati della provincia di Pordenone, che il presunto omicida della compagna a Roveredo in Piano (Pordenone) aveva scelto a proprio difensore, ha deciso così di rinunciare all’incarico. La legale, da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne, era stata chiamata dalla Questura in quanto indicata come avvocato di fiducia da Giuseppe Forciniti. il 33enne che ha ucciso a coltellate la compagna Aurelia Laurenti, 32 anni, nel loro appartamento di Roveredo in Piano (Pordenone).

In una intervista a La Stampa e La Repubblica l’avvocata racconta che conosceva Giuseppe Forciniti “perché nel 2017 era infermiere nella Rsa di Roveredo in Piano dove era ricoverata mia mamma. Per lei era un mito, una splendida persona”. L’uomo aveva i suoi riferimenti e dopo essersi costituito ha chiesto ai poliziotti di contattare lei. La professionista gli ha spiegato che non se la sentiva: “Non posso assumere le difese di quest’ uomo dopo una vita e una carriera spese a promuovere la tutela dei diritti delle donne. Ho spiegato a Giuseppe che ha il sacrosanto diritto di essere difeso al meglio, un diritto costituzionale riservato a tutti, anche al peggior delinquente. Ma la mia storia, le mie battaglie per le donne mi impediscono di essere di parte. Due mondi inconciliabili, non avrei potuto difenderlo al meglio. In cuor mio gli ho augurato di trovare un difensore adeguato”. L’avvocata spiega che non è una questione di genere: “Sin da bambina volevo tutelare i diritti dei più deboli. Non solo delle donne: ho assistito anche molti uomini. Ma in Italia le donne devono fare ancora un tratto di strada per dire di avere raggiunto la parità. Questo gap ho voluto colmarlo da presidente dell’Ordine, istituendo lo sportello anti-violenza”. La sua carriera iniziò come parte civile della famiglia di una donna uccisa dal marito. “Per Gabriella Salvador, uccisa dall’ex il 16 ottobre 1995 a Fontanafredda (Pordenone). Lei era venuta da me, si sentiva stalkerizzata, ma all’epoca quel reato non c’era. Ricordo che mi disse: “Io non so quando succederà, ma so che mi ammazzerà””. La legale andò in procura per tutelare quella donna “ma gli strumenti odierni come la diffida e l’arresto cautelare ancora non c’erano. Quando venne uccisa chiamai gli inquirenti e dissi che avevo ragione io, che non c’erano strumenti per poterla difendere. Quella vicenda mi segnò profondamente: tuttora sono in contatto con la famiglia”. “Certo, col Codice rosso abbiamo fatto passi da gigante rispetto ai tempi di Gabriella, che non trovava risposte da parte di nessuno. Ora, però, è evidente che bisogna fare di più. La sottocultura dei social, la pandemia e il conseguente lockdown hanno acuito questo fenomeno: le denunce sono triplicate e i femminicidi aumentati”.

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