di Monica Valendino

Da marzo, dalla prima ondata Covid, si era capito che le autonomie fossero deleterie in uno stato d’emergenza. Allora il Governo era però forte del consenso popolare nato dalla paura verso un nemico sconosciuto e che si affacciava per la prima volta fuori dalla Cina. Ricordiamo che prima di Conte, a voler chiudere tutto (per poi riaprire e per poi richiudere) erano stati proprio alcuni presidenti del consiglio regionale, in primis quelli targati Lega, che evidentemente trovavano terreno fertile per un facile consenso.

Poi il Governo si impose con la chiusura totale. I medici erano eroi, le bandiere tricolore sventolavano sui davanzali assieme alle scritte dei bambini che ricordavano che tutto sarebbe finito bene.

Purtroppo a mesi di distanza nulla è finito, e le cose vanno di male in peggio. Perché il Governo ha perso quel consenso nato con la paura, a causa proprio delle autonomie che in estate hanno fatto di tutto per portare a quel “liberi tutti” che ha innescato la seconda ondata, mentre nel frattempo non facevano molto per attrezzarsi in campo sanitario, con uno scaricabarile che oggi sta provocando i danni che sono sotto gli occhi di tutti.

Il Governo d’altro canto paga dazio a un vizio di forma nato con quel tragico effetto della legge elettorale “Rosatellum” varata da Renzi forse con l’intento di mantenere una leadership, finita col creare la confusione totale, anche grazie o a causa dei 5s che hanno stravinto le elezioni a discapito dei pronostici. Vecchia storia che in tempi di pandemia sottolinea però un divario con i territori: mentre i cosiddetti governatori sono eletti direttamente e, piaccia o meno, hanno il consenso della maggioranza degli elettori, il governo centrale paga dazio alla sua eterogeneità e alla mancanza di una legittimazione di fatto.

Costituzionalmente è lecito; a livello pratico, dovendosi confrontare continuamente con le nuove “star” regionali, perde potere quando dovrebbe invece accentrarlo per evitare che ognuno vada dalla sua parte. E i governatori si fanno forza di questo, facendosi portavoce dei malumori nati proprio dalle loro carenze.

Poi ci si mette qualcuno che va anche oltre, tanto per camuffare un po’ i dati sanitari e rendere più complicate le scelte da prendere. Vedi il Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga (Lega) che, tra un’ordinanza e un’altra, in attesa di far passare la regione in zona arancione trovava il tempo per decidere di mettere in atto una procedura – che sa di edittosulla quale si è espressa l’Assostampa:

Al fine di evitare “facili strumentalizzazioni” la Regione delineerà infatti una procedura di controllo con la quale il medico ospedaliero interpellato da un cronista dovrà sottoporre la richiesta di intervista al proprio direttore generale, che la inoltrerà alla segreteria della direzione regionale, “al fine di avviare la condivisione di eventuali richieste da proporre al vicepresidente Riccardi per il suo successivo rapporto con la stampa”. Quindi, un medico o un infermiere del Friuli in prima linea nella lotta al Covid-19, per raccontare la propria esperienza sul campo, rischia di non poterlo fare, non assicurando di conseguenza una piena e completa informazione ai cittadini.

Succede in Friuli, ma molte regioni applicano protocolli loro, sui quali sarebbe bello avere risposte perché mai in tempi come questi una giusta comunicazione aiuterebbe tutti a essere più consapevoli e quindi ad accettare anche misure che appaiono troppo restrittive.

Ma tra escamotage sui dati e forzature sulle parole, è chiaro che poi nei cittadini regni l’incertezza e da questa nasca la protesta. Legittima, ma che forse è un modo facile per cercare ancora consensi laddove sarebbe opportuno cercare di capire come uscire da una situazione che non troverà fine solo con gli slogan. Ma forse è molto più facile dare la colpa ad altri, piuttosto che assumersi le proprie responsabilità sulle cose non fatte.

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