Un gruppo di ricercatori italiani sta provando a risolvere un grande dilemma: i pazienti guariti da Covid-19 possono reinfettarsi? Difficile stabilirlo al momento. Quello che è certo è che un caso su cinque a distanza di tempo risulta nuovamente positivo al tampone ma non è dato sapere se sia contagioso. Questa è la prima risposta contenuta in uno studio pilota uscito giovedì sulla rivista scientifica americana Jama Internal medicine, condotto da quattro medici del Policlinico universitario Gemelli Irccs di Roma: Maurizio Sanguinetti, Paola Cattani, Brunella Posteraro e Francesco Landi. “Il test molecolare non consente di appurare se nel campione di materiale biologico prelevato sia presente virus virale, quindi trasmissibile”, spiega Sanguinetti, a capo del dipartimento di Scienze di laboratorio e infettivologiche. Per capirlo saranno necessari ulteriori studi.

L’indagine preliminare ha preso in esame 176 pazienti guariti da Covid e seguiti da aprile a giugno presso il Day hospital post-Covid del Gemelli. Nel corso del follow up (circa 50 giorni dopo la diagnosi) nei campioni naso-faringei di questi pazienti è stata analizzata la presenza sia dell’Rna virale totale (genomico) sia dell’Rna virale replicativo (subgenomico), indicatore di una replicazione virale in atto (e quindi di una potenziale trasmissibilità). Tutti i pazienti sono stati inoltre sottoposti a test sierologico per gli anticorpi IgG e IgA specifici del virus. “Trentadue soggetti, quasi uno su cinque, sono risultati positivi all’Rna totale di Sars-Cov2, oltre che al test anticorpale, eccetto uno”, continua Sanguinetti.

Che cosa vuol dire? “Non lo sappiamo, dobbiamo ancora capire il significato di questa positività perché la presenza del genoma del virus non indica che il paziente è di nuovo infetto”, risponde. “Solo un paziente di questi 32 è risultato positivo anche per l’Rna replicativo. Si tratta di un soggetto anziano con ipertensione, diabete e malattia cardiovascolare, che a 16 giorni dalla guarigione presentava una sintomatologia compatibile con Covid. Ma – sottolinea il medico -, anche in questo caso non siamo in grado di concludere se sia un caso di recidiva o di reinfezione”. Chiediamo al professore il motivo. “Andrebbe messa a confronto la sequenza del genoma del virus risalente al primo episodio di malattia con la sequenza del virus del secondo episodio. Essendo però quest’ultima disponibile in quantità insufficiente non è stato possibile fare una comparazione. Se le due sequenze sono uguali siamo di fronte a un caso di recidiva di infezione, se sono diverse di reinfezione, il paziente cioè ha contratto un nuovo ceppo del virus Sars-Cov2”, chiarisce Sanguinetti.

Alla fine, oggi, possiamo contare soltanto una certezza. “Questo studio rafforza il concetto che le reinfezioni nei pazienti guariti sono rare – dichiara il ricercatore -, sebbene in presenza di positività al test molecolare convenzionale. Pertanto, sviluppare la ricerca dell’Rna replicativo di Sars-Cov2 potrebbe aiutare a risolvere il dilemma circa la reale infettività di chi torna positivo”. A questo punto, sulla semplice positività per l’Rna totale riscontrata nei 31 soggetti, tutti senza sintomi, la conclusione più probabile, secondo Sanguinetti e i suoi colleghi, è che si tratti “di una eliminazione di frammenti di Rna virale, a seguito di risoluzione dell’infezione”.

Articolo Precedente

Primo lockdown, “triplicato il numero di bambini nati morti, ma anche meno neonati prematuri”

next
Articolo Successivo

“Ristoranti, caffè e palestre sono i luoghi dove ci si contagia di più”: lo studio diffuso da Nature che ha mappato 98 milioni di cellulari

next