“Ogni settimana di ritardo nel prendere misure più restrittive ci fa pagare tre settimane in termini di ritorno sotto al livello di guardia. Auspico che ci siano misure più rigide però su tutto il territorio nazionale”. Il professor Raffaele Bruno è il direttore Malattie Infettive del Policlinico San Matteo di Pavia. Nei tre piani della palazzina che ospita il suo reparto sono ricoverati 75 pazienti che si aggiungono ai 30 posti aperti in pneumologia. “Un numero inferiore rispetto alla prima ondata – spiega il professor Bruno – ma il virus non è cambiato in termini clinici e ha ripreso a mordere”.

E i ritmi di lavoro sono tornati a intensificarsi. “C’è una sensazione di deja vù – racconta l’infettivologa Erika Asperges che è entrata in servizio in primavera così come altre sue colleghe – da un lato siamo più preparati e sicuri, ma dall’altro più stanchi”. I mesi davanti sono tanti. “È dura” racconta il professor Bruno che quando sente parlare del Natale precisa: “L’obiettivo per me non è il Natale, ma è quello di cercare di tutelare la salute dei cittadini. L’importante è che le persone non debbano venire in ospedale e che stiano bene. Questa è la stella polare che deve guidare le decisioni”. Qualche spiraglio di ottimismo sembra arrivare dalle notizie sui farmaci e sul vaccino. “Una notizia confortante, ma non si può pensare che sia la soluzione al problema nell’immediato, siamo sulla buona strada, ma ci vorrà del tempo perché nell’immediato non lo avremo per tutti”. La priorità rimane dunque quella di fermare la corsa del virus. “È come un camion in corsa che ha bisogno di uno spazio di frenata perché non si ferma di colpo. Il freno è il lockdown”. E quando gli si chiede quanto sia lungo questo spazio di frenata risponde così: “Dipende da quanto più forte freniamo”.

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