La Spagna, che come la maggior parte dei Paesi europei è nel pieno della seconda ondata della pandemia, ha deciso di fronteggiare l’emergenza sanitaria con l’imposizione di un nuovo stato d’emergenza, che durerà fino al prossimo maggio. Ma nonostante il superamento del milione di contagi ufficiali e una media di 20mila casi al giorno, oggi il paese mantiene una percentuale di occupazione delle terapie intensive intorno al 21%, fortunatamente ancora al di sotto della soglia d’allerta, fissata al 30%. Su questo incide un dato fondamentale: secondo il Centro di coordinamento di Allerta ed Emergenza Sanitaria, la sanità spagnola è riuscita ad aumentare i posti letto in quei reparti passando dai 7mila in fase pre-pandemica agli oltre 8mila attuali, circa 18 per 100mila abitanti. La situazione è di leggero vantaggio rispetto all’Italia: il decreto Rilancio prevedeva la realizzazione di 3500 nuovi posti, dopo quasi 6 mesi di questi ce ne sono circa 1300 per un totale vicino ai 7mila effettivi, anche se il governo italiano parla di una capacità di estensione fino a oltre 10mila posti. Al momento, però, il gemello mediterraneo è messo meglio, anche per il fatto che ha una popolazione di 47 milioni di abitanti rispetto ai 60 milioni dell’Italia.

Ma questa è forse l’unico vera differenza in ambito sanitario tra i due Paesi che per il resto camminano uno a fianco all’altro in tempi di pandemia anche per la lotta sul Recovery Fund. I numeri e i problemi descrivono infatti criticità simili, in entrambi i casi aumentate dalla crisi del 2008. Sia in Italia che in Spagna gli infermieri sono 5,8 ogni mille abitanti, a fronte della media Ocse di 8,5, si sono ridotti gli ospedali (da circa 870 a 782 in Spagna e da 1.197 a 1.000 in Italia) e i posti letto totali (entrambi si collocano attorno ai 3,5 per mille abitanti ma l’Italia nel 1998 ne aveva 5,8). Sebbene la spesa pubblica sanitaria nel settore sia aumentata negli ultimi 10 anni (del 0,9% in Italia e 0,6% in Spagna), resta comunque più bassa dell’inflazione.

Secondo Marciano Sánchez Bayle, presidente della Federazione delle Associazioni in Difesa della Salute Pubblica, la mancanza di personale si è poi acuita in Spagna durante la pandemia. “Il sistema sanitario ha sofferto un taglio molto importante e non è stato rafforzato. 69mila lavoratori del settore sono stati contagiati”. Tutto ciò ha contribuito ad accrescere il malcontento del settore, che martedì è sceso nelle piazze di tutto il paese per protestare contro i contratti precari (la retribuzione è scesa dell’11% tra il 2009 e il 2014, secondo i dati di Newtral) e un nuovo decreto legge che, per la Confederazione statale dei sindacati medici, favorisce “l’assunzione degli infermieri per svolgere il ruolo che spetta ai medici, di medici non specializzati per mansioni che non gli competono e il riconoscimento rapido dei titoli ottenuti in paesi extracomunitari”.

La situazione cambia di regione in regione, ma è emblematico il caso della Comunità di Madrid, epicentro della pandemia nel Paese, che ha raggiunto la media di 500 contagi ogni 100mila persone. Paradossalmente il territorio che include la capitale è quello che meno investe nella sanità, solo il 3,7% del suo Pil, ed è stato il più colpito della Spagna, che in tutto ha registrato oltre 35mila vittime. Per Gabriel del Pozo, segretario generale del Cesm, dipende non solo dalla natura stessa di Madrid – capitale e città di grandi spostamenti – ma anche dal tira e molla tra il governo regionale di Isabel Díaz Ayuso e quello centrale di Sánchez per l’imposizione di nuove restrizioni: “Non si possono mandare messaggi contraddittori. È stato uno scontro, quando c’è bisogno di unità d’intenti”.

Ma il problema, secondo Sánchez Bayle, inizia addirittura prima del 2008: “Madrid si è sempre posizionata all’ultimo o penultimo posto in quanto a spesa sanitaria. Da quando la competenza è diventata regionale nel 2002, la capitale ha sempre avuto al potere il Partito Popolare, che preferisce la privatizzazione. Il sistema sanitario di Madrid si trova in una condizione di precarietà straordinaria”. Ed è proprio qui che il tasso di occupazione delle terapie intensive ha già superato la soglia di allerta nazionale, arrivando al 38%, superata da Aragón (44%) e La Rioja (40%), come riportano i dati del Ministero della Salute. Numeri che, se il trend dei contagi non si inverte, delineano l’ipotesi di un nuovo collasso.

Articolo Precedente

Covid, in Francia 47mila contagi e 235 morti. Spagna, record da inizio pandemia: 23mila casi. In Germania 16mila nuovi positivi: mai così tanti

next
Articolo Successivo

Attentato Nizza, dalle minacce di al-Qaeda agli attacchi di Erdogan a Macron e Charlie Hebdo: la Francia è di nuovo nel mirino dei jihadisti

next