Il Ministro Catalfo manda gli ispettori nel Lodigiano. Saranno loro, a quanto apprende il Fattoquotidiano.it, a verificare la vicenda del dipendente di un supermercato licenziato dopo 180 giorni di lotta contro il Covid, nonostante avesse in tasca un certificato di infortunio riconosciuto dall’Inail. Il ministero ribadisce che il “Cura Italia” ha inserito una specifica norma per escludere i giorni di malattia Covid-19 dalle assenze. In realtà la vicenda è più complessa e sta aprendo un certo dibattito nel mondo scientifico e giuridico, da cui potrebbero scaturire anche misure diverse da quelle che finora hanno tutelato i lavoratori durante la pandemia. La Legge 24 aprile 2020 n. 27 infatti ha equiparato il periodo di quarantena alla malattia scomputandolo dai 180 giorni oltre i quali scatta il licenziamento. Il dipendente sottoposto a “sorveglianza attiva” o in “permanenza domiciliare fiduciaria” poteva stare a casa, ricevere la sua retribuzione, e figurare in malattia senza che scattasse la tagliola dei giorni di assenza. E infatti a “salvare” il lavoratore del supermercato non sarà tanto il Cura Italia quanto il certificato dell’Inail che ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro.

Il problema resta per tutti gli altri, i “post-covizzati”, un esercito dalla consistenza oggi sconosciuta, ma potenzialmente rilevante, che si sta anche organizzando in associazioni per rivendicare tutele sul lavoro a partire dalle assenze imposte dai postumi del virus. Perfino la Lombardia, e questo la dice lunga, ha stabilito di soccorrere questa platea di persone prorogando fino al 31 dicembre la gratuità delle visite e degli esami di controllo. Sul piano clinico è infatti riconosciuto che un’ampia casistica di problemi sanitari covid-correlati allungano il periodo di malattia avvicinando chi ne è affetto alla soglia del licenziamento. La legge però non la disciplina diversamente dalle altre. “Dopo sei mesi di assenza, il dipendente può essere licenziato per giusta causa, come succede, purtroppo, a chi ha un tumore”, conferma il presidente dell’Associazione dei Giuslavoristi italiani, Aldo Bottini. Problema: il Covid non è una malattia come le altre.

All’epoca dei primi decreti non si sapeva, oggi è ampiamente documentato che molte persone che hanno superato l’infezione sviluppano poi vere e proprie patologie a carico del sistema cardiaco, cardiocircolatorio e polmonare. Adesso si tratta di valutare questo aspetto, perché quando sono stati emanati i primi provvedimenti il tempo trascorso in malattia era limitato e la ratio dei provvedimenti emergenziali era diversa. Il legislatore aveva l’urgenza di tenere la gente a casa perché non si infettasse senza per questo affamarla. Da qui, la soluzione di equiparare la quarantena alla malattia senza far scattare il count-down del licenziamento. Lo scenario oggi è completamente cambiato. E al legislatore toccherà affrontare il problema.

“E’ assolutamente necessario”, sostiene Vittorio Agnoletto, medico del lavoro e membro di Medicina Democratica. “Che non sia successo è una cosa grave. Le persone che sono sopravvissute a una patologia mortale, che hanno già subito traumi e stress di ogni tipo, non possono vivere nell’incubo di un licenziamento che equivale a gettarle in un’altra condizione disastrosa. Mi sembra molto strano che il legislatore non sia ancora intervenuto, è ora che riconosca l’eccezionalità della malattia. Nessuno si scandalizzerebbe, credo, visto che ci sono già dei malati che stanno protestando per avere questa tutela”. Che non sia come le altre è nei fatti. In quale altra situazione abbiamo vissuto una situazione di lockdown nazionale, fermi bloccati a casa? La pandemia non è stata forse paragonata a una guerra? Le misure legislative in questi mesi sono state straordinarie su tutto, dal lavoro alla scuola. “E allora, non credo che si faccia nulla di eversivo o sbagliato se si riconosce questa straordinarietà anche in campo clinico”. Del resto è già successo. All’epoca dell’emergenza Aids fu varata una legislazione ad hoc che consentiva agli infetti di evitare la reclusione. “Non sarà impossibile farlo anche per il Covid. E se poi il principio venisse esteso ad altre malattie come il cancro, garantendo analoghe forme di tutela, sarebbe solo un guadagno di civiltà”.

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