Il colosso del tabacco Philip Morris Italia Srl (PMI) rischia di finire sotto processo. È questa la richiesta formulata dal sostituto procuratore di Roma Alberto Pioletti nei confronti dell’azienda, perché suoi manager e collaboratori sono accusati di aver tentato di corrompere alcuni dirigenti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ottenendo in cambio informazioni riservate sui prezzi delle sigarette, sui concorrenti di mercato e sui possibili controlli amministrativi.

Le accuse di corruzione – Secondo la ricostruzione della magistratura, sarebbe stato Leo Checcaglini, collaboratore esterno (a contratto) della Philip Morris, a tessere i rapporti, tra gennaio e luglio 2018, con i dirigenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze: Concetta Anna Di Pietro (direttore dell’ufficio circolazioni tabacchi all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), Fabio Carducci (direttore della Direzione centrale gestione accise e monopoli dei tabacchi) e Massimo Pietrangeli (Direttore centrale accertamento e riscossione). Acquisite le notizie top secret, Checcaglini le avrebbe poi condivise con i vertici aziendali, a partire dall’ex presidente ed ex amministratore delegato Eugenio Sidoli, e con i manager Gianluca Bellavista e Nicola Fogolin. Per tutti, accusati di corruzione per atti contrari ai doveri d’uffici, è stata fissata l’udienza preliminare il prossimo 12 gennaio, davanti al giudice Andrea Fanelli, mentre per Checcaglini potrebbe profilarsi la possibilità del patteggiamento. Sono state riconosciute parti offese il Mef e la British American Tobacco Italia Spa.

L’inchiesta “Cassandra” – Nasce tutto dall’indagine della squadra mobile e della Procura di Roma, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, del dicembre 2019, che avevano scoperto una rete di corruzione che portava fino agli uffici del Monopolio di Stato. Secondo l’accusa, la Di Pietro, su richiesta di Checcaglini, avrebbe ritardato l’approvazione della determina “con la quale il direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli fissa i prezzi di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati (prezzo medio ponderato)” e in seguito “fornito informazioni riservate sul prezzo delle sigarette applicato dai produttori concorrenti della Philip Morris Italia”, ovvero la British American Tobacco e la Japan Tobacco International. In cambio, alla funzionaria sarebbe stato promesso, dagli emissari della Philip Morris, un alloggio gratuito a Bologna per un conoscente che avrebbe dovuto seguire per un stage di 6 mesi, la promessa di assunzione del nipote e del genero in una società di spedizioni, e quella di assunzione in tabaccheria per un’altra conoscente. Pietrangeli avrebbe informato Checcaglini, dei “futuri controlli” disposti da lui stesso nei confronti dei tabaccai” alla ricerca “dei cartelli promozionali” che recavano lo slogan “blocco dei prezzi delle sigarette”, e che avrebbe provocato una conseguente sanziona amministrativa. Inoltre, insieme a Carducci, avrebbero mostrato al consulente esterno della Philip Morris “documenti riservati” che contenevano “la richiesta di aumento del prezzo di vendita presentata dalla Japan Tobacco”, fornendo “informazioni sulla data di firma del relativo decreto”. Per queste “informazioni”, Pietrangeli avrebbe ricevuto la promessa della nomina a direttore centrale gestione accise e monopoli, e la possibilità di un lavoro “più remunerativo” per la sua compagna; mentre a Carducci sarebbe stato promessa “l’assunzione in banca del figlio”, che secondo l’accusa sarebbe “andata a buon fine”.

La posizione del colosso del tabacco – La Philip Morris Italia, che nel frattempo ha cambiato i vertici aziendali, sta elaborando una memoria difensiva per dimostrare che l’ex consulente Checcaglini avrebbe agito per interesse personale e senza il mandato della società. Sulla fuga di notizie sulla variazione dei prezzi, la società proverà a spiegare che non avrebbe avuto vantaggi di mercato sui concorrenti, considerando che per legge, il produttore può presentare in qualsiasi momento l’istanza di variazione dei prezzi, e che in seguito l’Agenzia dei Monopoli è tenuta a pubblicare la richiesta sulla Gazzetta Ufficiale entro 45 giorni dalla ricezione della stessa istanza, che diventa effettiva sul mercato a partire dalla data di pubblicazione. Per questo motivo, anche se avesse saputo della modifica a pochi giorni dalla pubblicazione, l’azienda non avrebbe avuto il tempo di procedere con la propria istanza. Mentre sui controlli ai tabaccai per gli annunci “prezzi bloccati”, le sanzioni amministrative sono comminate ai singoli gestori delle rivendite e non alla Philip Morris Italia, e per tale motivo l’azienda, se pur avesse saputo in anticipo dei controlli, non ne avrebbe avuto alcun profitto. La Philip Morris Italia Srl, contattata da Ilfattoquotidiano.it, “ripone la massima fiducia nel sistema giudiziario e auspica un pronto accertamento dei fatti”. L’azienda “ritiene che le accuse nei suoi confronti siano infondate e si difenderà in tutte le sedi opportune per provare la propria estraneità ai fatti contestati”. Il colosso del tabacco ci tiene a precisare che segue “rigide procedure e controlli che disciplinano le interazioni di dipendenti e consulenti con pubblici ufficiali” e che “queste procedure vengono scrupolosamente fatte rispettare in tutta l’organizzazione”.

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