Una “eccezionale diminuzione” delle Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (il numero che si ottiene dividendo il totale delle ore lavorate per un numero di ore standard corrispondente a una posizione full time): sono crollate di 2,6 milioni rispetto al primo trimestre 2020 e di 4,1 milioni sullo stesso periodo del 2019. E un buco, anno su anno, di 1 milione e 112mila posizioni precarie nel settore privato tra contratti a termine, in somministrazione e a chiamata. A fare il punto sulla contrazione subita dal mercato del lavoro nel trimestre ‘nero’ del Covid, il secondo del 2020, è la nota congiunta prodotta da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal.

Come già emerso dai dati Istat,il numero di occupati è sceso di 470mila unità sul trimestre precedente e 841mila rispetto al secondo trimestre 2019. La dinamica delle posizioni a tempo determinato nei dati delle comunicazioni obbligatorie risulta fortemente negativa (-485mila in un anno) ma l’andamento “è molto più marcato nei dati Inps-Uniemens riferiti alle sole imprese private” che registrano la situazione a fine periodo e comprendono anche il lavoro in somministrazione e intermittente: 1 milione 112mila in meno nel secondo trimestre.

Che a soffrire di più siano stati i cosiddetti ‘lavoretti’ lo conferma il monitoraggio sulla durata dei contratti. Quasi la metà dell’emorragia registrata nei mesi primaverili si deve ai contratti con scadenza massima a sette giorni. A proposito di flussi, nel complesso i nuovi contratti attivati si sono ridotti di 1 milione e 567 mila a fronte di una diminuzione delle cessazioni di 988 mila per effetto del blocco dei licenziamenti ma anche, viene sottolineato, “ai rapporti di lavoro dipendente di breve durata non attivati in precedenza”. In altre parole, sono finiti meno contratti perché ne sono “nati” di meno, specialmente nel format ‘mini’, con l’anzianità misurata in giorni.

Dopo la crescita ininterrotta dal 2015, si riscontra una diminuzione congiunturale delle posizioni lavorative dipendenti sulla base delle comunicazioni obbligatorie (-337mila rispetto al primo trimestre 2020) dovuta appunto all’accentuarsi del calo di quelle a tempo determinato (-383mila in tre mesi) e al rallentamento della crescita delle posizioni a tempo indeterminato (+47mila). Queste tendenze continuano ad essere influenzate dal numero di trasformazioni a tempo indeterminato, seppur con minore peso: l’incidenza delle trasformazioni sul totale degli ingressi a tempo indeterminato (attivazioni e trasformazioni) scende dal 23,6% del primo trimestre 2020 al 22,1% nel secondo trimestre 2020.

Quanto al lavoro indipendente, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat continua a diminuire sia in termini congiunturali (-101mila occupati, -1,9%) sia su base annua (-219mila occupati, -4,1%).

Tra i giovani di 15-34 anni si registra il più forte calo dell’occupazione e del relativo tasso in termini sia tendenziali (-8%, -3,2 punti) sia congiunturali (-5,3%, -2,2 punti). E per loro il tasso di inattività aumenta più che nelle altre classi di età. Nella classe di età 35-49 anni, alla riduzione del numero assoluto di occupati sia su base annua sia trimestrale corrisponde un calo del tasso di occupazione (-1,6 e -1,1 punti). In questa fascia si rileva il più forte calo del numero di disoccupati e il maggiore aumento di quello di inattivi. Si arresta, infine, la crescita degli occupati over 50 e del tasso di occupazione tra i 50-64enni: a fronte di una sostanziale stabilità del numero di occupati in entrambi i confronti, il tasso di occupazione si riduce sia su base annua (-0,8 punti) sia rispetto al trimestre precedente (-0,3 punti) pur se con minore intensità in confronto alle altre classi di età.

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