di Paolo Rossi

Quanto pesa l’economia di mercato nelle scelte politiche in tempo di Covid? Abbiamo assistito in questi mesi alle incessanti e continue richieste di aiuto da parte delle aziende turistiche delle nostre città d’arte che, per via del crollo dei flussi turistici, non sono affatto in grado di sostenersi economicamente.

Ultimamente assistiamo anche al grido di aiuto di Italo, unico operatore italiano ferroviario privato in concorrenza a Trenitalia, che pure per via della riduzione forzata al 50% dei posti disponibili imposta dal distanziamento sociale, ha visto drasticamente ridursi i propri proventi e schizzare alle stelle il proprio indebitamento.

Il Cts recentemente ha negato a Italo la possibilità di aumentare i posti offerti sui propri treni con una decisione difficilmente comprensibile visto che tutti i mezzi pubblici locali possono arrivare all’80% di capienza (ma assistiamo regolarmente al mattino ai soliti mezzi a pieno carico per cui c’è da chiedersi come possano mai applicare questa norma).

Qualora Italo dovesse dichiarare bancarotta e portare i libri in tribunale il costo per gli italiani sarebbe decisamente superiore: è il concetto stesso di economia di mercato applicato ad un settore “difficile” come il trasporto ferroviario che va a farsi benedire… come minimo si può immaginare che (non immediatamente, anzi con una sottile e subdola gradualità) Trenitalia tornerebbe ai prezzi dei biglietti ante-Italo scaricando sull’economia reale le proprie inefficienze (avete mica presente Autostrade?)

Anni fa c’era stato un piccolo precedente: chi si ricorda della Arenaways che voleva iniziare a fare concorrenza a Trenitalia sulla Milano-Torino “classica” con degli Intercity low cost? Appena ci si rese conto della minaccia non ci volle molto ai “governatori” delle regioni interessate (i famigerati Roberto Formigoni e Roberto Cota) per negare ad Arenaways le necessarie autorizzazioni con la scusa che “avrebbe fatto concorrenza al trasporto regionale”!

Tale società che aveva già acquisito il materiale rotabile si trovò dalla sera alla mattina a dichiarare fallimento e per diverso tempo Trenitalia ebbe campo libero sulla Milano-Torino (analoga sorte ebbe il misero tentativo di fare Ic notturni tra Bari e Torino, tant’è che Rfi e Trenitalia si beccarono pure 300.000 € di multa dall’Agcm).

Ora Italo, società di ben altro spessore, si trova in una situazione estremamente precaria: riesco ad immaginare solo quattro possibili evoluzioni di questa precaria situazione:

1. Viene concesso dal governo di aumentare il numero di posti vendibili al livello di sostenibilità economica e dunque il business può continuare “as usual” (poco probabile, vista la recente decisione del Cts);

2. Vengono concessi aiuti straordinari dal governo a ripianare le perdite (poco probabile, viste le leggi Ue contro il finanziamento diretto di società private, e comunque si tratta di denaro che va ad aumentare il debito pubblico);

3. Italo nell’arco di un paio di mesi dichiara fallimento, sospende il servizio e porta i libri in tribunale (con le conseguenze di cui sopra);

4. Qualche operatore europeo con robusta struttura finanziaria alle spalle (i soliti tedeschi?) compra Italo per 4 soldi per accaparrarsi una fetta del mercato ferroviario in Italia, per cui un’altra fetta del Paese si troverà post-Covid in mani straniere.

Mi chiedo dunque quale sia il miglior interesse del Paese in cotal frangente: vale la pena mettere a repentaglio l’intera economia di mercato nel settore del trasporto ferroviario fino a questo punto? Personalmente direi di no (fosse per me avrei preferito si verificasse il caso 1) ma cos’ha da dire il governo in proposito?

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